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Partito Socialista Siciliano (PSS)

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I socialisti e i morti di “Charlie Hebdo”

Un minuto di silenzio dei socialisti europei per commemorare le vittime dell’attacco terroristico di matrice islamista contro il settimanale satirico francese “Charlie Hebdo”. I socialisti siciliani si riconoscono pienamente nelle parole del compagno Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, e dei compagni Pervenche Berès (capo della delegazione dei socialisti francesi a Strasburgo) e Gianni Pittella (capogruppo socialista all’Europarlamento). Nous sommes tous Charlie!

Buone feste dal PSS

La predica di Natale.

Il Partito Socialista Siciliano augura buon Natale ed un felice 2015 a tutti i compagni e le compagne, nonché a tutti coloro che seguono il sito Internet e la nostra presenza sul web. Sempre avanti!

Scambio di auguri tra i socialisti siciliani

Auguri socialisti.

Mercoledì 17 dicembre a Palermo, alle ore 16,00 presso l’Aula Rostagno di Palazzo delle Aquile (ingresso in Piazza Pretoria n°1), avrà luogo il tradizione scambio di auguri dei socialisti siciliani, in vista delle festività natalizie. Durante l’incontro è prevista una lettura commentata del pamplet “La predica di Natale” del leader socialista emiliano Camillo Prampolini, a cura di Antonio Matasso, segretario regionale del Partito Socialista Siciliano. Buon Natale e buon 2015 anche a tutti i visitatori del sito!

IL PARTITO SOCIALISTA SICILIANO ADERISCE ALLO SCIOPERO

12dicembre02 sciopero nazionale

SCIOPERO GENERALE DI TUTTI I SETTORI

• Si può far crescere il Paese se si investe sul lavoro e si aiuta chi e’ in condizione di disagio, se

si accetta la scommessa dell’innovazione e se si promuove più equità

• Il Sindacato vuole unire il Paese con il lavoro, estendere le tutele, e rimettere in moto l’economia

• Il governo ascolti queste buone ragioni e CAMBI IL VERSO di politiche e

sbagliate

PER RIAFFERMARE L’UTILITÀ SOCIALE DEI PATRONATI, VALORIZZANDO LA LORO ATTIVITÀ DI TUTELA E DI

PROMOZIONE DI DIRITTI FONDAMENTALI, ELIMINANDO I TAGLI PREVISTI AL FONDO PER I PATRONATI

Per tutte queste ragioni il sindacato promuove una giornata di sciopero generale in tutti i luoghi di

lavoro con manifestazioni territoriali, per chiedere a Governo e Parlamento di cambiare In meglio

la legge sul lavoro e la legge di stabilità rimettendo al centro il lavoro, le politiche industriali e dei

settori produttivi fortemente in crisi, la difesa ed il rilancio dei settori pubblici e la creazione di

nuova e buona occupazione.

Il governo continua su una strada che non ha prodotto risultati : nessun contrasto alla crisi,

nessun sostegno alla economia reale che produca con un rapido e concreto piano di investimenti

una vera ripresa dei nostri sistemi produttivi.

• Per una riforma realmente universale degli ammortizzatori sociali

• Per cancellare le iniquità contenute nella legge Fornero sulle pensioni

• Per contrastare realmente il lavoro debole e precario

• Per tutelare i lavoratori licenziati ingiustamente e senza un vero motivo

• Per una politica che tagli le tasse a lavoratori e pensionati e produca vero contrasto all’evasione

• Per aprire rapidamente la contrattazione nei settori pubblici

• Per la risoluzione delle molte crisi industriali anche con il e la generalizzazione

dei contratti di solidarietà

• Per una misura di contrasto alle povertà

• Per investire realmente in vere politiche attive per il lavoro

• Per la lotta alla corruzione, all’evasione, agli sprechi, agli appalti al massimo ribasso e all’economia

illegale

• Per difendere il ruolo della contrattazione come strumento essenziale per la tutela delle condizioni

normative e salariali dei lavoratori

• Per un piano straordinario che metta in sicurezza il territorio dal rischio ambientale promuovendo

anche occasioni di lavoro per giovani

PER IL LAVORO. PER UN FUTURO MIGLIORE C’È BISOGNO DI DIGNITÀ DEL PRESENTE

Le politiche economiche e quelle sul lavoro hanno peggiorato le condizioni di vita di milioni di persone,

indebolito i nostri sistemi di protezione sociale e ridotto le tutele per chi è più colpito dalla

crisi. Politiche, quelle del governo, che non hanno avuto alcun effetto espansivo.

12 dicembre 2014

La Sicilia nel contesto nazionale, europeo e mondiale

di Riccardo Gueci

Il mondo attraversa una fase storica molto travagliata e piena di contraddizioni: dal riscaldamento atmosferico alle grandi migrazioni; dal dominio finanziario internazionale alla disoccupazione diffusa ed alla mortalità infantile; dall’esibizione del lusso e delle grandi ricchezze agli esodi di massa in cerca di condizioni minime di sopravvivenza. Tutte questioni che la Carta di San Francisco del 24 ottobre 1945 – atto fondativo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – voleva affrontare e risolvere e che, invece, sono rimaste lì e talora si sono aggravate. La ragione strutturale di questo insuccesso è l’assurda attribuzione del diritto di veto riservato alle nazioni fondatrici – Stati Uniti d’America, Unione sovietica (ora Russia), Cina, Francia e Regno Unito – che ne ha impedito il pieno dispiegarsi della sua presunta terziarietà e che ne limita l’attendibilità e la priva di credibilità. A questo proposito vale ricordare le numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sui confini israeliani, che Israele disattende sistematicamente.
Il fallimento dell’Onu è testimoniato dalla interminabile guerra israelo-palestinese che da oltre 65 anni non riesce a trovare soluzioni, né si intravedono credibili prospettive di pace e di assetto condiviso di due popoli e due stati in Palestina. Le numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza rivolte ad Israele affinché rientri nei confini antecedenti la guerra del 1967 rimangono lettera morta perché lo Stato ebraico non ne vuole sapere e continua tenacemente ad estendere i propri confini occupando il suolo palestinese con gli insediamenti residenziali dei coloni nei territori della Cisgiordania. Questi tragici atteggiamenti israeliani sono sostenuti dalla lobby ebraica statunitense, che esercita negli Usa un forte potere finanziario e che condiziona la politica estera americana nello scacchiere mediorientale.
In tempi più recenti l’attenzione degli Stati Uniti è sempre più rivolta verso verso il controllo dei percorsi delle risorse energetiche russe di origine fossile, provenienti dai territori centro asiatici, stante che il controllo sulle risorse petrolifere mediorientali e libici sono abbondantemente sotto il loro controllo, tranne quelle iraniane.
Da parte sua l’Europa mantiene una posizione subalterna alla strategia Usa nel Mediterraneo, come lo è stata nella recente vicenda dei Balcani – in particolare nel Kosovo – e in questi giorni anche nella crisi Ucraina, della quale gli stessi Usa hanno svolto un ruolo attivo nel determinarla, allo scopo di arrivare al controllo delle risorse energetiche del Mar Caspio. Da qui l’aggressione potenziale nei confronti della Russia mediante l’installazione di basi militari preso tutte le nazioni dell’Est europeo, ex sovietici.
Il controllo delle residue risorse energetiche di origine fossile rimane una strategia preminente della politica estera degli Usa, piuttosto che puntare decisamente verso le fonti energetiche alternative di origine solare che almeno i prossimi cinque miliardi di anni potrebbero assicurare un potenziale interminabile di energie pulite a protezione dell’ambiente naturale ed evitare il continuo riscaldamento atmosferico. Circostanza che continua a minacciare la stabilità del clima e la sicurezza degli insediamenti umani nei territori costieri.
La subordinazione europea è ancora più marcata dallo I.s.d.s. (Investor-state dispute settlement, che sta per: Risoluzione delle controversie tra investitori e Stato), attraverso l’arbitrato di un soggetto a ciò autorizzato che per esprimere il suo giudizio segue le regole I.c.s.i.d, cioè Centro internazionale per le risoluzioni delle controversie riguardanti gli investimenti della Banca Mondiale.
Un trattato commerciale, negoziato segretamente, a tutela degli interessi delle aziende multinazionali americane in Europa e, segnatamente, nei paesi dell’Est.
Altrettanto segreto è il Tisa, il negoziato per la privatizzazione dei servizi pubblici quali la sanità, la scuola e i trasporti, che è un’articolazione del Ttip, cioè il trattato transatlantico del commercio e degli investimenti.
Infine, la razzia dell’acqua su scala mondiale, un affare stimato da Goldman Sachs in 425 miliardi di dollari e nel quale tutte le banche di Wall Street e i grandi gruppi di affare internazionale sono impegnati nella conquista di ogni sorgente, fiume, stagno, perfino pozzanghera pur di accaparrarsi “l’oro blu” o “il petrolio del futuro”. Un solo esempio, tanto per dare sommariamente l’idea delle dimensioni. George Bush senior sta acquistando i terreni che coprono la falda Guaranì, un giacimento d’acqua, compreso tra i territori del Brasile, dell’Argentina, del Paraguay e dell’Uruguay, che potrebbe fornire per 200 anni acqua potabile all’intera umanità.
Questo il quadro internazionale entro il quale si collocano le questioni europee, italiane e siciliane e nel quale la vicenda mediterranea resta, comunque, strategica ed investe direttamente le sorti della Sicilia.

* * *

Sul versante nazionale assistiamo al continuo declino della economia e della cultura italiana per effetto della indeterminatezza degli orientamenti politici dequalificati dalla caduta delle tradizionali scuole di pensiero che avevano consentito al nostro Paese di conquistare quotazioni prestigiose in campo internazionale nel periodo della cosiddetta prima Repubblica. In quella fase storica il valore del pluralismo politico e culturale, della laicità e della sovranità nazionale erano valori assoluti e fortemente sentiti dalle masse popolari, anche se non completamente praticate a causa dei vincoli internazionali precedenti alla emanazione della Carta Costituzionale. In ogni caso hanno rappresentato un reale momento unitario del Paese dalla sua fondazione del 1860. Mai in precedenza, e peggio successivamente, l’Italia si è sentita un Paese unito e unitario.
Con l’avvento della ‘seconda’ Repubblica le divisioni del Paese sono emerse vistosamente ed hanno dato vita a forti rivendicazioni territoriali che hanno portato alla revisione frettolosa del Titolo Quinto della Costituzione con conseguenze pericolosamente gravi per il costume morale della politica a qualunque livello essa si rappresentasse. Le Regioni sono diventate il terreno dello spreco e delle ruberie di massa. Al pari delle grandi opere che costituiscono il cespite della corruzione dilagante nel mondo dell’impresa e degli affari.
Lo stesso effetto producono le emergenze che in Italia sono la normalità. Infatti, gli scandali che hanno accompagnato le vicende legate agli interventi della Protezione Civile sono lì a documentarlo. E testimoniano il fatto che, laddove non esistono regole nette e rigorose, il degrado del costume e l’abbandono della competitività producono arretramento economico e culturale, come conseguenza dello stimolo all’innovazione ed al progresso tecnico e tecnologico.
Queste ragioni oggi giustificano le demagogiche argomentazione addotte dal governo di Matteo Renzi a togliere poteri alle regioni italiane, comprese quelle a statuto speciale, a togliere spazi alla rappresentanza popolare e ad introdurre misure istituzionali che restringono gli spazi di democrazia e riducono in misura rilevante la partecipazione plurale della politica, tentando di costringerla entro ambiti bipolari che ne privano la ricchezza della varietà.
Tutti questi contorcimenti istituzionali risiedono nella ricerca della formula che garantisca la governabilità. Un tormentone che attraversa la vicenda politica italiana sin dalla prima legislatura repubblicana. Infatti, è dalla fase conclusiva della legislatura 1948-1953 che si parla del premio di maggioranza, del quale nella formulazione iniziale della cosiddetta ‘legge truffa’ era concepito in forma di sicuro accettabile rispetto alle indegne soluzioni introdotte nella recente fase, dove ad ogni legislatura viene posta la revisione della legge elettorale, le cui misure adottate sono l’una peggiore dell’altra e concorrono a segnare il declino politico del Paese.
Una forza politica nuova che volesse ricondurre l’Italia sul sentiero della stabilità democratica e della modernizzazione funzionale, nel rispetto della tradizione costituzionale dovrebbe recuperare il sistema elettorale proporzionale, corretto da alcuni minimi accorgimenti che garantiscano la governabilità, quali lo sbarramento massimo al 3 per cento e la clausola della sfiducia costruttiva, come è in Germania.
La governabilità, infatti, è una questione politica che attiene al rapporto tra governo e la sua maggioranza. Non è pensabile che il rischio di un mancato rapporto fiduciario possa essere evitato per via istituzionale. Quindi, solo se è intervenuto un accordo politico che modifica la maggioranza parlamentare con un nuovo aggregato, solo in quel caso è possibile un nuovo governo, altrimenti quello in carica continua serenamente a fare il proprio lavoro.
Tra le modifiche costituzionali che varrebbe la pena di introdurre se ne segnalano due, il primo riguarda l’abolizione della recente modifica all’articolo 81 laddove è stato introdotto un quinto comma con l’obbligo del pareggio di bilancio e l’altra un emendamento abrogativo dell’ultimo rigo dell’articolo 75, laddove tra le questione per le quali non è ammesso il referendum popolare c’è la ratifica dei trattati internazionali. Infatti, la ratifica parlamentare non garantisce le conseguenze ricadenti sui cittadini per la ragione che i parlamenti, quando va bene, cambiano ogni cinque anni, mentre i vincoli derivanti dai trattati restano sulle spalle dei cittadini, sulle loro libertà individuali e collettive nonché sulle loro tasche.
Sul terreno economico-sociale occorre imprimere una svolta netta all’infelice politica delle privatizzazioni. Gli esiti delle precedenti stanno lì a dimostrare che la nostra grande imprenditoria è incapace e produce esiti gestionali fallimentari. Ne sono prova inconfutabile le vicende Alitalia, Telecom e le varie esperienze produttive dell’ex Iri, banche comprese, purtroppo, tanto che un numero impressionante di piccole imprese ha dovuto cessare l’attività per mancanza di credito e, magari, ci ha pure rimesso la vita. Tutti fattori, però, che hanno concorso a determinare l’enorme crescita del debito pubblico.
A questo proposito è appena il caso di ricordare che l’unico ministro che nel breve spazio di un anno di governo è riuscito a ridurre di ben quindici punti l’incidenza del debito sul prodotto lordo, portandolo da 119 per cento a 104 per cento, è stato il ministro Vincenzo Visco. Dopo quella apprezzabile realizzazione, che peraltro è costata al professore Visco la carriera politica, perché aveva osato colpire gli interessi della rendita finanziaria, chiunque sia succeduto in quella posizione di governo non ha fatto altro che fare vertiginosamente crescere l’incidenza del debito sul Pil, portandola all’attuale 133 per cento. Da quando ha lasciato Visco, il debito è aumentato di ben 20 punti.
Ne consegue che il rilancio dell’economia mista pubblico-privato è la formula vincente per il recupero della ripresa dell’economia nazionale, della sua crescita e la sua innovazione competitiva.
Infatti, la competitività si gioca sul terreno della innovazione e non certamente sulla compressione dei diritti dei lavoratori. Cosa che invece, avviene sistematicamente attraverso l’attacco all’articolo 18 della legge 300/1970, lo Statuto dei diritti dei lavoratori, a suo tempo promosso dal ministro socialista Giacomo Brodolini. Una grande conquista di civiltà e di progresso sociale. Mesa oggi in discussione non soltanto dalla destra reazionaria, ma dal centrosinistra riformista.

* * *

In questo quadro d’insieme si colloca la realtà siciliana, la quale in forza della sua Autonomia istituzionale dimostra di non essere in grado di attivare lo sviluppo sociale e la crescita economica della regione.
Le ragioni di questa ‘incapacità’ sono strutturali e scaturiscono dalla natura elitaria dello spirito dello Statuto siciliano. Quello vigente – nato nel primissimo dopoguerra del conflitto 1940-1045, sotto la corposa presenza delle truppe di ‘Liberazione’ alleate e dalla presenza attiva dell’unica forza organizzata di una società disgregata e, nel suo assetto, di stampo medievale (leggasi “mafia”), al di là delle affermazioni di principio riguardanti l’autonomia legislativa – ha un impianto gestionale riservato alle centrali del potere piuttosto che un’impronta democratica che veda i territori e le masse protagoniste delle loro sorti future. Non a caso tra le tante norme manca quella che istituisce i referendum popolari o la gestione decentrata della cura del territorio e dello sviluppo socio-culturale.
La Sicilia senza una revisione statutaria in senso democratico (sussidiarietà) difficilmente potrà far segnare un impulso alla crescita e l’Autonomia sarà sempre più appannaggio delle forze parassitarie e improduttive. Le sue vere energie di progresso e di sviluppo sono più presenti nei territori piuttosto che nella istituzione autonomistica.
Il popolo siciliano è stato e tutt’ora rimane subalterno a quelle forze, comunque parassitarie, che Tomasi di Lampedusa descriveva come ‘gattopardi’ – quelli della nobiltà decadente e dell’alta borghesia – e ‘sciacalli’ – quelli emergenti dell’accaparramento arrogante e violento.
La principale riforma statutaria dovrebbe essere introdotta per abolire la facoltà gestionale attribuita al governo della Regione e trasferita ai territori (città metropolitane e consorzi di comuni), mentre al governo della Regione dovrebbero essere riservati il compito di programmazione, d’indirizzo e di verifica. La gestione degli interventi dovrebbe essere appannaggio degli organi territoriali ai quali competerebbe anche l’incombenza della progettazione degli interventi entro il quadro programmatico regionale.
Sarebbe il modo giusto per smantellare l’elefantiaco apparato amministrativo regionale e comporterebbe il trasferimento sul territorio sia dei progetti, sia della gestione, sia dei soldi e sia del personale attualmente presenti negli uffici centrali della Regione Siciliana.
Dovrebbe, altresì, essere inserito il referendum popolare, sia quello propositivo che quello abrogativo, D’altra parte quello propositivo è già stato realizzato surrettiziamente attraverso l’elezione diretta del presidente della Regione, con le conseguenze disastrose che esso ha prodotto a causa della inamovibilità del presidente eletto e garantito nella sua ‘governabilità’.
Un’altra riforma significativa dovrebbe riguardare la legge elettorale, la quale pur mantenendo la distinzione tra l’elezione diretta del presidente del governo regionale e l’altra per l’elezione dell’assemblea legislativa, la quale rappresenta l’organo istituzionale più importante perché titolare dell’Autonomia speciale, in quanto depositaria del diritto legislativo primario in tutte le materie, tranne quelle fiscali, quelle relative alla Difesa e alle relazioni Internazionali. Ciò al fine di ridare slancio e dignità all’istituto fondamentale dell’Autonomia speciale, attualmente ridotto a semplice organo di ratifica degli orientamenti del governo. Basti pensare al fatto che l’assemblea regionale non è stata capace di modificare la legge elettorale nel segno di riprendersi il suo ruolo primario.
Ove ciò non avvenisse in tempi brevissimi, occorrerà introdurre attraverso una iniziativa popolare alla integrazione dell’attuale legge elettorale con l’introduzione del referendum revocativo dell’elezione del presidente della Regione sulla base del principio “il popolo ti elegge ed il popolo ti revoca l’incarico”.
Non mi sono intrattenuto sulle questioni economiche e sulle forze produttive, né sulle questioni del lavoro, per il motivo che è assolutamente inutile affrontare un diversa ipotesi di sviluppo senza le riforme politiche. Qualsiasi ipotesi economica – in costanza di questa Regione, così com’è fatta – si tradurrebbero in azioni clientelari, assistenziali, parassitarie ed improduttive.

IL MIO NOME E’ GIORGIO AMBROSOLI

IL MIO NOME E’ GIORGIO AMBROSOLI.
Quella sera a Milano l’aria era molto pesante. Giugno era appena cominciato ma c’era freddo. Il telefono squillava a casa dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Una casa borghese, come tante altre, in un quartiere borghese. La mano sicura del giovane avvocato aveva alzato quella cornetta tante volte. Ascoltando quella voce terribile che lo minacciava di morte, tutte le sere, da sei mesi. Tre lampi di luce illuminarono la strada deserta, tre proiettili che posero fine ai sentimenti, all’amore verso la famiglia e ai progetti di un uomo che credeva fosse possibile una Italia migliore.
Conobbi Giorgio Ambrosoli quasi per caso, quando non era ancora liquidatore della Banca Privata. A margine di un convegno sul “nuovo” Diritto fallimentare, mi avvicinai per chiedergli qualcosa che oggi, per la verità, non ricordo più. Mi rispose con un sorriso modesto e con umiltà mi consigliò un libro non suo, ma di un altro avvocato.
Una mattina, a Milano, i clienti della Banca Privata trovarono le saracinesche abbassate ed un cartello che suonava derisorio: “ Chiuso per rapina.”
In realtà la rapina l’aveva commessa Michele Sindona in combutta con gli altri componenti il consiglio di amministrazione. Il denaro dei risparmiatori era servito per finanziare le campagne elettorali di Giulio Andreotti, traffico di armi e innominabili business con l’Istituto Opere Religiose. Sarcinelli, l’allora governatore della Banca d’Italia, nomina Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata. Giorno per giorno, ricostruendo la vera situazione contabile, Giorgio Ambrosoli si rese conto di aver messo le mani in covo di serpenti velenosi. Mafia, partiti, massoneria deviata, servizi segreti vaticani iniziarono a preoccuparsi. Quell’uomo era immune da ogni tentativo di corruzione e non si faceva abbindolare da malcelate offerte di un seggio in Parlamento. Sindona decide: Ambrosoli deve morire. Sepolto Giorgio Ambrosoli, il Parlamento con i voti della DC e del Partito Comunista, approvò una legge con la quale in sostanza si faceva gravare sugli italiani il “disavanzo di gestione” multimiliardario della Banca Privata di Michele Sindona.
I risparmiatori furono rimborsati al cinquanta per cento. La rimanente parte entrò nelle casse dei partiti.
Vincenzo Marrone.

COSA OCCORRE ALLA NOSTRA SICILIA

Per i Socialisti siciliani non vi è alternativa se non quella che si deve effettuare una svolta politica riformista che dica di no all’impostazione rigorista dell‘ Europa e della Merkel.
La crisi economica e finanziaria che ha colpito il mondo occidentale, l’Europa, il nostro Paese si abbatte sulla nostra Regione con maggiore virulenza visti i mali atavici che caratterizzano la Sicilia, aggravando ancora di più le già preoccupanti condizioni di difficoltà e di disagio delle nostre popolazioni.
di Franco Gioia

Riprendersi dopo venti anni di malgoverno con le devastazioni in atto, è una impresa quasi impossibile, in quanto il nostro Paese sta vivendo una crisi nella crisi. Le misure economiche di rigore in nome dell’austerità allontanano la possibile ripresa, aggiungono altre iniquità, provocano ulteriore dissesto sociale, lasciando immutati i nodi strutturali che sono all’origine del declino dell’economia italiana. La conseguenza di tali scelte politiche di fatto sta generando una spirale recessiva talmente forte da far registrare in Italia la maggiore intensità della crisi tra i paesi dell’eurozona.
Per i Socialisti siciliani non vi è alternativa se non quella che si deve effettuare una svolta politica riformista che dica di no all’impostazione rigorista dell‘ Europa e della Merkel. Alle politiche finanziarie bisogna contrapporre politiche economiche di sviluppo, bisogna allentare il limite del 3% come tetto tra debito e Pil bisogna rendere flessibile il fiscal compact in grado di permettere all’ Italia di effettuare quella politica della crescita ricorrendo ad investimenti pubblici in settori trainanti come le infrastrutture , opere pubbliche la green economy, interventi mirati alla salvaguardia del territorio, alla valorizzazione delle risorse naturali (pensiamo all’agroalimentare all’energia alternativa al turismo ai beni culturali).
Forze autenticamente Riformiste e di Sinistra non possono tollerare oltre la politica fiscale che in questi anni è stata incentrata ad aggredire i redditi bassi di pensionati e lavoratori cosa che ha comportato una crescita esponenziale della soglia di povertà contraendo oltre ogni limite i consumi, con la tassazione sulle buste paga di oltre il 43%, con fortissimi tagli alla sanità a danno delle fasce più deboli, va rivista la stessa contro riforma della Fornero sulle pensioni. Una nuova impostazione di politica economica impone la riscoperta e l’attualità del pensiero economico di Keynes. Un nuovo modello di sviluppo deve fare perno sulla piena e buona occupazione, un piano straordinario per la creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani e le donne rilanciando l’intervento pubblico.
Abbattere l’alto costo del lavoro provocato dall’alta tassazione ,aprire i cordoni delle banche alle aziende che soffrono di carenza di liquidità è un imperativo per permettere al sistema delle imprese di poter rimanere sul mercato. Un intervento straordinario di abbattimento delle procedure burocratiche è condizione obbligata per riprendere la strada dello sviluppo. Il PD come partito centrale del centrosinistra è chiamato a scelte di questa natura se vuole essere il Partito di riferimento del mondo del lavoro produttivo e di quella parte della società a cui sta a cuore lo sviluppo sociale e civile de nostro Paese. Un Partito che si richiami ai grandi Valori del Socialismo deve sempre avere come stella di riferimento nel suo percorso politico: i Diritti sociali dei Lavoratori e i Diritti Civili delle persone come è nella tradizione del Socialismo Italiano ed Europeo. Oggi il PD di Renzi va in tutt’altra direzione, la prova è data dalle politiche del Governo di frontale attacco al Sindacato e alle conquiste sociali e legislative che nel passato hanno segnato la crescita sia economica ,sociale e civile dell’Italia. Oggi resta più che mai aperta la questione sociale e della sua rappresentanza politica, siamo passati dalla diaspora socialista alla diaspora della sinistra, assistiamo al totale fallimento della classe dirigente ex comunista come forza di governo, Renzi è il prodotto finale di scelte suicide che portano il nome di Dalema, Veltroni, e compagni.
Il Presidente Crocetta dalle prime dichiarazioni ma anche dai primi atti ci aveva fatto ben sperare sulla svolta rispetto i suoi predecessori, si apriva per la nostra Regione una possibile stagione di cambiamento; oggi dire che siamo fortemente delusi è sinonimo che ancora pensiamo si possa recuperare sul piano della credibilità e perché non vogliamo rassegnarci che tutto è perduto.
Da mesi il Presidente Crocetta ci intrattiene sul balletto dei dirigenti e funzionari regionali, nel frattempo la Corte dei Conti bastona la Regione relativamente al mancato riaccertamento dei residui attivi, i disoccupati stanziano davanti la Presidenza in attesa di risposte che non arrivano, mentre le OOSS non vengono neppure ricevute e quando sono convocate il Presidente non si presenta,
La vicenda Muos e dell’acqua, della formazione, delle trivellazioni sono la cartina di tornasole della incapacità di mantenere fede agli impegni presi in campagna elettorale, la tendenza accentratrice nelle scelte politiche e la conseguente paralisi lo mettono in sintonia con il predecessore Lombardo. Il modo come si è gestita la recente crisi di governo e le conclusioni a cui si è pervenute ci fanno rimanere più che preoccupati sulla capacità di affrontare e portare a soluzioni le questioni che sono tutte irrisolte basta pensare alla vicenda della riforma delle province che ha del grottesco, peggio di quella di Del Rio. Per non parlare del fatto che ci troviamo di fronte ad una scelta di commissariamento della regione con la nomina dell’assessore al bilancio imposto da Roma,” come da Statuto”.
Non possiamo sottacere d’altronde il disfacimento politico ,culturale, programmatico del PD in Sicilia, ridottosi ad una babele di gruppi e sottogruppi, i cui esponenti pensano soltanto a rafforzare le proprie posizioni personali utilizzando i vecchi e collaudati sistemi clientelari di democristiana memoria, non curanti delle conseguenze etico morali e giudiziarie, in balia di delirio di onnipotenza.
La Sicilia, ci chiediamo, cosa di male ha fatto per meritare sempre classi dirigenti di così basso livello? Non si contano più ormai i casi di compromissione con la mafia e con pratiche affaristico- personali, tendenti all’arricchimento dei singoli e dei loro familiari.
La domanda che sorge spontanea è quella sul come si può avviare un processo virtuoso sul piano economico, civile , sociale e politico con una classe dirigente, il cui profilo comportamentale sul piano politico non si riesce più a distinguere tra destra e sinistra?
La crisi economica e finanziaria che ha colpito ll mondo occidentale, l’Europa, il nostro Pese si abbatte sulla nostra Regione con maggiore virulenza visti i mali atavici che caratterizzano la Sicilia, aggravando ancora le già preoccupanti condizioni di difficoltà e di disagio delle nostre popolazioni. Lo scontro in atto in Europa è tra quanti vogliono portare avanti una politica a vantaggio degli interessi delle banche e dei mercati finanziari, causando licenziamenti di massa, aumentando i livelli di povertà delle fasce più deboli della società, e quanti sostengono una politica di sviluppo, di occupazione, di difesa dello stato sociale, di difesa dei più deboli, ampliando la base produttiva e tagliando i privilegi delle varie caste. Le forze europee della conservazione che fanno riferimento al PPE da tempo portano un attacco alle zone deboli dell’unione che tendono a divenire sempre più deboli e marginali.
Il PSS si batterà e lotterà per fermare tale processo di marginalizzazione della Sicilia e di impoverimento delle sue popolazioni, mettendo in campo tutte le sue energie capaci di sensibilizzare le forze sane e produttive dell’isola per affermare con dignità un ruolo di centralità economica e politica in ambito italiano ed europeo, rilanciando la presenza strategica nel Mediterraneo, forte della sua Storia, delle sue tradizioni, delle sue ricchezze naturali paesaggistiche, del suo ingente patrimonio culturale essendo uno tra i più grandi bacini di beni culturali, in grado di produrre una inversione di tendenza dal punto di vista economico utilizzando in pieno lo Statuto Speciale Siciliano valorizzando la Autonomia Regionale non più come palla di piombo al piede bensì come grande opportunità di sviluppo e di crescita economica e sociale della nostra terra.
La Sicilia ha bisogno di una classe dirigente capace, colta, professionalmente preparata in grado di intestarsi una politica Riformista di reale cambiamento che coniughi efficienza, efficacia, legalità. In tutti questi anni si è sempre parlato del Mediterraneo come snodo strategico per i rapporti economici e commerciali tra i paesi rivieraschi, asiatici e il l’Europa ma al momento non si è mai riusciti a cogliere questa opportunità di sviluppo per la nostra regione ma rimane sempre una grande occasione che assolutamente bisogna non perdere.
Strumento importante in grado di promuovere sviluppo, crescita, occupazione qualificata, è rappresentato dai finanziamenti europei a condizione che vengano rivisti i criteri di utilizzo.
Una seria politica di investimenti non può avere come asse centrale di riferimento se non le grandi opere pubbliche per la realizzazione di una rete viaria interna che colleghi in modo veloce non solo le città ma anche l’interno dell’isola con la costa; occorre dotare la Regione di moderne strutture di stoccaggio delle merci, pensiamo agli interporti, i grandi mercati vanno monitorati e resi più trasparenti nel garantire il libero mercato in quanto sappiamo come questi siano oggi gestiti con criteri mafiosi e speculativi, a danno sia dei produttori che dei consumatori. Bisogna continuare una politica di valorizzazione dell’agroalimentare siciliano sul modello dei vini attraverso la penetrazione nei mercati del continente attraverso le apposite fiere incentivando le produzioni innovative di qualità sia in riferimento al prodotto fresco sia alla trasformazione rilanciando questa ultima dopo la chiusura per fallimento politico prima ancora che economico di aziende come la Sanderson o il pastificio Valle Platani, per fare solo degli esempi; non stiamo propugnando un nuova presenza pubblica nel settore ma progetti di investimento nell’industria alimentare adeguatamente sostenuti da politiche serie di incentivazione, superando l’attuale incapacità di spesa della regione dei fondi Europei.
La Sicilia è, come purtroppo sappiamo, una regione ad alto rischio sia dal punto di vista sismico che del dissesto territoriale. Una politica di prevenzione oggi non esiste; il settore della bonifica e della forestazione è visto come strumento assistenziale per garantire lavoro ai braccianti ed ai forestali, commettendo un grossolano errore perché non si calcolano mai i danni che questi lavoratori evitano con il loro lavoro al nostro territorio, alle popolazioni e alle casse della Regione: bisogna aggredire le storture a monte causate dalle scelte di bilancio che non sono mai in linea con i tempi della programmazione dei lavori, comunque bisogna dare vita a progetti sulla green come fattore di difesa e salvaguardia del territorio e occasione di nuova e qualificata occupazione.
Il Turismo oggi non è per niente un fattore di sviluppo economico della Regione. Primo perché le scelte degli operatori del settore sono vecchie ed improntate più alla speculazione sui prezzi praticati ai clienti, in parte giustificati dagli alti costi dei trasporti, che a scelte di qualità vedi itinerari turistici o proposte complete di utilizzo delle ricchezze paesaggistiche del territorio esaltando la storia della Sicilia attraverso la conoscenza del patrimonio artistico e culturale presente in tutti i centri significativi che rappresentano il nostro vissuto, insieme a ciò che la natura ci offre , il mare le nostre montagne con i loro borghi ecc. Bisogna rendere il turismo regionale competitivo e appetibile.
Pensiamo come socialisti siciliani che un programma di cambiamento per essere credibile debba essere accompagnato da una seria politica di bilancio, che oltre a tagliare gli sprechi, che deve essere un imperativo per tutti, sappia rimodulare la spesa abbattendo la spesa corrente che oggi è oltre l’80% aumentando la quota relativa agli investimenti. Da ciò nasce la convinzione che lo Statuto Speciale e la Autonomia devono essere una opportunità e non un limite quale oggi appare essere così si giustifica la battaglia sulla corretta applicazione dell’art.37 . Indispensabile a tal riguardo è la ripresa di un corretto rapporto tra Governo e Parti Sociali sapendo che la democrazia si regge attraverso il coinvolgimento alle scelte dei ceti produttivi e delle loro rappresentanze in quanto portatori di interessi reali dei lavoratori e del mondo delle imprese sia grandi che piccole, le quali ultime rappresentano un settore importante per la crescita dalla nostra Regione.

LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO

LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO

Esito della direzione regionale del PSS

Riccardo Lombardi.

Si è riunita a Palermo la direzione regionale del Partito Socialista Siciliano, incentrata sulla forte apprensione per la crisi economica, finanziaria e sociale che sta determinando un generale ridimensionamento del tenore di vita di un numero sempre maggiore di siciliani. «È urgente e indispensabile – affermano i socialisti del Pss – porre fine all’immobilismo dell’attuale governo regionale e realizzare le riforme strutturali necessarie al risanamento finanziario ed alla ripresa economica della Regione Siciliana, dando piena attuazione allo Statuto speciale». I socialisti siciliani, oltre a stigmatizzare il tentativo del governo nazionale di destrutturare lo Statuto dei lavoratori, voluto negli anni Settanta proprio dai fautori del socialismo democratico, hanno deliberato di organizzare una serie di iniziative volte alla ricomposizione della diaspora socialista in Sicilia ed a rapportarsi con quanti abbiano una visione dell’autonomia regionale come fattore di progresso, riaffermando la posizione del Pss a favore di un’Europa progressista dei popoli e delle regioni, ma contrapposta tanto all’Europa delle banche e della finanza, quanto al populismo della Lega Nord e delle altre forze di destra.
Il prossimo appuntamento dei socialisti siciliani è per sabato 18 ottobre alle ore 10,00 ad Enna Alta, presso la Sala Cerere in piazza Vittorio Emanuele (nei pressi della Chiesa di San Francesco d’Assisi), per celebrare il trentennale della morte del compagno Riccardo Lombardi, con un convegno dedicato all’attualità del suo riformismo in questi tempi di crisi del capitalismo. L’inziativa è organizzata dalla direzione regionale in collaborazione con i compagni ennesi.

Documento programmatico del PSS

il Programma di Gotha della SPD tedesca.

Documento programmatico di sintesi approvato dalla direzione regionale del Partito Socialista Siciliano.

Sul versante nazionale assistiamo al continuo declino della economia e della cultura italiana per effetto della indeterminatezza degli orientamenti politici dequalificati dalla caduta delle tradizionali scuole di pensiero, che avevano consentito al nostro Paese di conquistare quotazioni prestigiose in campo internazionale nel periodo della cosiddetta “Prima Repubblica”. In quella fase storica il valore del pluralismo politico e culturale, della laicità e della sovranità nazionale erano valori assoluti e fortemente sentiti dalle masse popolari, anche se non completamente praticati a causa dei vincoli internazionali precedenti alla emanazione della Carta Costituzionale. In ogni caso hanno rappresentato un reale momento unitario del Paese dalla sua fondazione del 1860. Mai in precedenza, e peggio successivamente, l’Italia si è sentita un Paese unito e unitario.
Con l’avvento della “Seconda Repubblica” le divisioni del Paese sono emerse vistosamente ed hanno dato vita a forti rivendicazioni territoriali che hanno portato alla revisione frettolosa del Titolo V della Costituzione, con conseguenze pericolosamente gravi per il costume morale della politica a qualunque livello essa si rappresentasse. Le regioni sono diventate il terreno dello spreco e delle ruberie di massa. Al pari delle grandi opere che costituiscono il cespite della corruzione dilagante nel mondo dell’impresa e degli affari.
Lo stesso effetto producono le emergenze che in Italia sono la normalità. Infatti, gli scandali che hanno accompagnato le vicende legate agli interventi della Protezione Civile sono lì a documentarlo. E testimoniano il fatto che, laddove non esistono regole nette e rigorose, il degrado del costume e l’abbandono della competitività producono arretramento economico e culturale, come conseguenza dello stimolo all’innovazione ed al progresso tecnico e tecnologico.
Queste ragioni oggi giustificano le demagogiche argomentazione addotte dal governo di Matteo Renzi a togliere poteri alle regioni italiane, comprese quelle a statuto speciale, a togliere spazi alla rappresentanza popolare e ad introdurre misure istituzionali che restringono gli spazi di democrazia e riducono in misura rilevante la partecipazione plurale della politica, tentando di costringerla entro ambiti bipolari che ne privano la ricchezza della varietà.
Tutti questi contorcimenti istituzionali risiedono nella ricerca della formula che garantisca la governabilità. Un tormentone che attraversa la vicenda politica italiana sin dalla prima legislatura repubblicana. Infatti, è dalla fase conclusiva della legislatura 1948-1953 che si parla del premio di maggioranza, il quale nella formulazione iniziale della cosiddetta “legge truffa” era concepito in forma di sicuro accettabile rispetto alle indegne soluzioni introdotte nella recente fase, dove ad ogni legislatura viene posta la revisione della legge elettorale, con misure adottate che sono l’una peggiore dell’altra e concorrono a segnare il declino politico del Paese.
Una forza politica nuova che volesse ricondurre l’Italia sul sentiero della stabilità democratica e della modernizzazione funzionale, nel rispetto della tradizione costituzionale, dovrebbe recuperare il sistema elettorale proporzionale, corretto da alcuni minimi accorgimenti che garantiscano la governabilità, quali lo sbarramento massimo al 3 per cento e la clausola della sfiducia costruttiva, come è in Germania.
La governabilità, infatti, è una questione politica che attiene al rapporto tra governo e la sua maggioranza. Non è pensabile che il rischio di un mancato rapporto fiduciario possa essere evitato per via istituzionale. Quindi, solo se è intervenuto un accordo politico che modifica la maggioranza parlamentare con un nuovo aggregato, solo in quel caso è possibile un nuovo governo, altrimenti quello in carica continua serenamente a fare il proprio lavoro.
Tra le modifiche costituzionali che varrebbe la pena di introdurre se ne segnalano due: la prima riguarda l’abolizione della recente modifica all’articolo 81 della Costituzione, laddove è stato introdotto un quinto comma con l’obbligo del pareggio di bilancio, la seconda è un emendamento abrogativo dell’ultimo rigo dell’articolo 75, laddove tra le questioni per le quali non è ammesso il referendum popolare c’è la ratifica dei trattati internazionali. Infatti, la ratifica parlamentare non garantisce le conseguenze ricadenti sui cittadini per la ragione che i parlamenti, quando va bene, cambiano ogni cinque anni, mentre i vincoli derivanti dai trattati restano sulle spalle dei cittadini, sulle loro libertà individuali e collettive nonché sulle loro tasche.
Sul terreno economico-sociale occorre imprimere una svolta netta all’infelice politica delle privatizzazioni. Gli esiti delle precedenti stanno lì a dimostrare che la nostra grande imprenditoria è incapace e produce esiti gestionali fallimentari. Ne sono prova inconfutabile le vicende Alitalia, Telecom e le varie esperienze produttive dell’ex Iri, banche comprese, purtroppo, tanto che un numero impressionante di piccole imprese ha dovuto cessare l’attività per mancanza di credito e, magari, ci ha pure rimesso la vita. Tutti fattori, però, che hanno concorso a determinare l’enorme crescita del debito pubblico.
A questo proposito è appena il caso di ricordare che l’unico ministro che nel breve spazio di un anno di governo è riuscito a ridurre di ben quindici punti l’incidenza del debito sul prodotto lordo, portandolo dal 119 per cento al 104 per cento, è stato il ministro Vincenzo Visco. Dopo quella apprezzabile realizzazione, che peraltro è costata al professore Visco la carriera politica, perché aveva osato colpire gli interessi della rendita finanziaria, chiunque gli sia succeduto in quella posizione di governo non ha fatto altro che fare vertiginosamente crescere l’incidenza del debito sul Pil, portandola all’attuale 133 per cento. Da quando ha lasciato Visco, il debito è aumentato di ben 20 punti.
Ne consegue che il rilancio dell’economia mista pubblico-privato è la formula vincente per il recupero della ripresa dell’economia nazionale, della sua crescita e la sua innovazione competitiva.
Infatti, la competitività si gioca sul terreno della innovazione e non certamente sulla compressione dei diritti dei lavoratori. Cosa che invece, avviene sistematicamente attraverso l’attacco all’articolo 18 della legge 300/1970, lo Statuto dei diritti dei lavoratori, a suo tempo promosso dal ministro socialista Giacomo Brodolini. Una grande conquista di civiltà e di progresso sociale. Mesa oggi in discussione non soltanto dalla destra reazionaria, ma dal sedicente centro-sinistra riformista di oggi.
In questo quadro d’insieme si colloca la realtà siciliana, la quale in forza della sua Autonomia istituzionale dimostra di non essere in grado di attivare lo sviluppo sociale e la crescita economica della regione.
Le ragioni di questa “incapacità” sono strutturali e scaturiscono dalla natura elitaria delle interpretazioni dello Statuto siciliano. Quello vigente – nato nel primissimo Dopoguerra del conflitto 1940-1945, sotto la corposa presenza delle truppe di “Liberazione” alleate e dalla presenza attiva dell’unica forza organizzata di una società disgregata e, nel suo assetto, di stampo medievale (leggasi “mafia”), al di là delle affermazioni di principio riguardanti l’autonomia legislativa – è stato letto secondo un impianto gestionale riservato alle centrali del potere piuttosto che uin base alla sua autentica impronta democratica, che doveva vedere i territori e le masse protagoniste delle loro sorti future. Non a caso manca una norma che istituisce i referendum popolari o la gestione decentrata della cura del territorio e dello sviluppo socio-culturale.
La Sicilia senza una revisione statutaria in senso democratico (sussidiarietà) difficilmente potrà far segnare un impulso alla crescita e l’Autonomia sarà sempre più appannaggio delle forze parassitarie e improduttive. Le sue vere energie di progresso e di sviluppo sono più presenti nei territori piuttosto che nella istituzione autonomistica come è stata malamente realizzata.
Il popolo siciliano è stato e tutt’ora rimane subalterno a quelle forze, comunque parassitarie, che Tomasi di Lampedusa descriveva come “gattopardi” – quelli della nobiltà decadente e dell’alta borghesia – e “sciacalli” – quelli emergenti dell’accaparramento arrogante e violento.
La principale riforma statutaria dovrebbe essere introdotta per abolire la facoltà gestionale attribuita al governo della Regione e trasferirla ai territori (città metropolitane e consorzi di comuni), mentre al governo della Regione dovrebbero essere riservati il compito di programmazione, d’indirizzo e di verifica. La gestione degli interventi dovrebbe essere appannaggio degli organi territoriali ai quali competerebbe anche l’incombenza della progettazione degli interventi entro il quadro programmatico regionale.
Sarebbe il modo giusto per smantellare l’elefantiaco apparato amministrativo regionale e comporterebbe il trasferimento sul territorio sia dei progetti, sia della gestione, sia dei soldi e del personale attualmente presenti negli uffici centrali della Regione Siciliana.
Dovrebbe, altresì, essere inserito il referendum popolare, sia quello propositivo che quello abrogativo, rivedendo al contempo l’istituto dell’elezione diretta del presidente della Regione, considerate le conseguenze disastrose che esso ha prodotto a causa della inamovibilità del presidente eletto e garantito nella sua “governabilità”.
Un’altra riforma significativa dovrebbe riguardare la legge elettorale, la quale pur mantenendo la distinzione tra l’elezione diretta del presidente del governo regionale e l’altra per l’elezione dell’assemblea legislativa, la quale rappresenta l’organo istituzionale più importante perché titolare dell’Autonomia speciale, in quanto depositaria del diritto legislativo primario in tutte le materie, tranne quelle fiscali, quelle relative alla Difesa e le relazioni internazionali. Ciò al fine di ridare slancio e dignità all’istituto fondamentale dell’Autonomia speciale, attualmente ridotto a semplice organo di ratifica degli orientamenti del governo. Basti pensare al fatto che l’Assemblea regionale non ò stata capace di modificare la legge elettorale nel segno di riprendersi il suo ruolo primario.
Ove ciò non avvenisse in tempi brevissimi, occorrerà introdurre nel dibattito, attraverso una iniziativa popolare, una proposta di integrazione dell’attuale legge elettorale con l’introduzione del referendum revocativo dell’elezione del presidente della Regione sulla base del principio: «il popolo ti elegge ed il popolo ti revoca l’incarico».
Com’è di tutta evidenza il terreno d’intervento politico è assai vasto: È necessario riprendere temi che nel dibattito pubblico sono assenti ma che necessitano di un rilancio forte per segnare un nuovo processo di riforme necessarie ed urgenti per lo sviluppo sociale e civile della Sicilia.

 

Tipologia di adesione