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aprile | 2015 | PSS – Partito Socialista Siciliano
Partito Socialista Siciliano (PSS)

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Autonomia mai esistita: Sicilia colonia

Foto del viadotto Himera sulla A19, danneggiato gravemente da una frana.

Pubblichiamo un contributo del compagno Riccardo Gueci, componente della segreteria regionale del Partito Socialista Siciliano. È tempo di tirare un bilancio storico sui tre appuntamenti di primavera: 25 Aprile, 1 Maggio e festa dell’Autonomia siciliana. Per sottolineare che l’Isola, secondo il compagno Gueci, è sempre stata una colonia.

In Sicilia tre festività di primavera segnano la rinascita italiana dalla fine del ventennio fascista: il 25 Aprile (festa della liberazione), la festa dei lavoratori l’1 Maggio e la ricorrenza dello Statuto Autonomistico regionale siciliano.
Sulla festa della liberazione nessuno ha nulla da eccepire, perché essa fu, unitamente alla Costituzione repubblicana, una conquista di popolo e delle sue organizzazioni militari, le brigate partigiane. La festa del lavoro presenta luci ed ombre. Non nel senso del suo valore etico, bensì sul versante fattuale. Proviamo a illustrare il perché.
Un’imprenditoria locale in Sicilia non è mai nata perché soffocata, condizionata o foraggiata dalla mafia a fini di riciclaggio finanziario. In qualche misura ha svolto un ruolo di supplenza l’impresa pubblica nazionale che ha insediato i propri impianti secondo proprie condizioni e convenienze, provocando – al solo costo dei salari e di qualche servizio locale, anch’esso spesso d’interesse mafioso – inquinamento territoriale e costiero.
Un altro condizionamento è rappresentato dalle lobby che nelle università, nella pubblica amministrazione e nella giustizia fanno il bello ed il cattivo tempo, talvolta non disegnando contatti con la mafia siciliana.
Tra le ombre cui abbiamo appena accennato ve n’è una addirittura tenebrosa: la festa dl lavoro dell’1 Maggio 1947, celebrata massicciamente da lavoratori, contadini, artigiana con le loro famiglie nella piana di Portella delle Ginestre, località dislocata tra Piana degli Albanesi e San Giuseppe Jato, dove il popolo riunito festeggiava la vittoria elettorale della Sinistra (lista Blocco del Popolo) in occasione della prima elezione del Parlamento autonomista siciliano. Una festa finita nel sangue.
Le ragioni della strage di Portella sono state esaminate in volumi, film, inchieste parlamentari, indagini e processi giudiziari senza mai riuscire a cogliere il vero messaggio che quell’eccidio ha voluto inviare al popolo siciliano. Sono state attribuite le responsabilità a Salvatore Giuliano, il bandito di Montelepre sostenuto da forze indefinite; è stata chiamata in causa la mafia e tutto l’universo delinquenziale. Ma mai i veri mandanti,, ovvero gli americani. Perché il popolo siciliano con quella festa avrebbe posto un precedente preciso. Doveva essere chiaro che la vittoria elettorale del Blocco del Popolo, alle elezioni regionali del 1947, non aveva alcun significato, né il popolo siciliano aveva a che fare con l’Autonomia siciliana perché essa era solo un compromesso sottoscritto a Cassibile anni prima tra il morente Stato monarchico italiano rifugiatosi a Brindisi – Stato che non rappresentava più nessuno – e le forze alleate che avevano ‘liberato’ la Sicilia senza colpo ferire, perché il terreno fertile per una avanzata rapida e vittoriosa l’aveva predisposto la mafia dei grandi agrari, la cui gestione era affidata alla borghesia mafiosa siciliana.
Il compromesso di Cassibile prevedeva che il territorio siciliano restasse all’Italia, ma che gli Stati Uniti ne potessero disporre a proprio piacimento (la famosa 49° stella, tanto propagandata dalle corti mafiose durante lo sbarco degli alleati nella piana di Licata nel luglio 1943). Con questa intesa ‘parasociale’ si era concluso il trattato sull’armistizio stipulato a Cassibile il 3 settembre 1947 e annunciato trionfalmente dal generale Badoglio l’8 settembre successivo.
Da qui il distacco netto tra popolo siciliano ed Autonomia speciale. Da allora mai più è stata celebrata in Sicilia una manifestazione popolare per l’Autonomia.
La terza data, il 5 maggio riguarda le celebrazioni annuali dell’Autonomia siciliana. Esse avvengono in luoghi monumentali delle grandi città siciliane, alla presenza delle massime autorità civili, militari e religiose, con discorsi vuoti e rituali, dove il popolo è assente. Non si ricorda alcuna località ove si verificarono a suo tempo gesta o lotte popolari a sostegno della conquista dell’Autonomia.
Le due sole località ove la resistenza popolare ha tentato di ostacolare l’avanzata delle forze alleate di cui si ha memoria furono Acate e il sasso di Randazzo dove fu ucciso in un agguato Antonio Canepa, capo dell’Evis (Esercito volontario per l’indipendenza siciliana), l’unico strumento popolare di lotta per l’indipendenza siciliana. Ebbene, anche il queste località siciliane, in occasione dell’anniversario dell’Autonomia siciliana, non si ricordano celebrazioni popolari, né cerimonie ufficiali. Tutto tace e tutto dev’essere rimosso dalla memoria popolare. Complessivamente la Sicilia, con questa Autonomia speciale, è stata ridotta al rango di base strategico-militare degli Usa a baluardo spionistico e aeronavale del Mediterraneo e del Medioriente.
È bene che i sicilianisti di ogni rango ne tengano conto quando definiscono l’Isola una colonia. Essi hanno ragione a metà, perché la Sicilia colonia lo è, ma statunitense. Ed è questa la ragione di fondo per la quale lo Stato italiano si guarda bene dall’intervenire in Sicilia perché, di fatto, non le appartiene. La gestione dei fatti siciliani è appannaggio della borghesia mafiosa in stretta connessione con la Cia e il Dipartimento di Stato Usa.

RICCARDO GUECI

25 aprile 2015

I socialisti non hanno dimenticato la Resistenza.

70° anniversario della Liberazione: i socialisti non hanno dimenticato la Resistenza!

La Sicilia e le sue crisi

Foto del viadotto Himera sulla A19, danneggiato gravemente da una frana.

Una nuova riflessione del compagno Gaetano Zingales, componente della segreteria regionale del Partito Socialista Siciliano, su alcuni problemi che attanagliano la Sicilia di oggi: l’interruzione del collegamento tra la parte occidentale ed orientale dell’isola; gli eventi luttuosi e criminali nell’area mediterranea; la necessità di chiedere lo stato di “Zona franca”.

Se dovessimo fare una lista delle necessità irrisolte della nostra regione, ci perderemmo in un lungo elenco, che vede l’emergenza lavoro, come prioritaria, e che, addentrandosi nelle pieghe del bilancio della Regione Siciliana, non dà risposte allo sviluppo produttivo dell’isola. Una massa di debiti di svariati miliardi vieta qualsiasi progetto che impedisca l’emorragia di menti e braccia di lavoro, il carico di disoccupati sulle famiglie in difficoltà economiche, nonchè la stasi dei settori che tipizzano la nostra economia. Eppure, per risolvere in parte gli annosi problemi dei siciliani, sarebbe stato sufficiente applicare letteralmente lo Statuto autonomistico, pretendendone, altresì, il rispetto delle norme “privilegiate” da parte del governo centrale. Ma così non è stato. Le colpe? Senz’altro di una classe politica dirigente che, da decenni, ha governato la nostra regione. E non è finita.
Soffermiamoci, però, su due emergenze, che stanno mettendo a terra il nostro territorio insulare.
Il crollo del tratto dell’autostrada Palermo-Catania, che ha prodotto danni incalcolabili alla popolazione costretta a usufruire di quell’arteria, ha messo a nudo le insufficienze e la responsabilità a carico di ciascun organo di governo e di controllo delle strade. Ma di ciò se ne sta occupando la magistratura.
Raccogliendo le voci dei disagi cui la gente va incontro nel dovere attraversare quel tratto di territorio disastrato e dei fatti di negativa ricaduta sulla vita quotidiana, ritengo di potere avanzare alcune mie riflessioni.
In primis, condivido la proposta lanciata di nominare un alto commissario per superare gli ostacoli frapposti dalla normativa vigente e dalla burocrazia, regionale e nazionale.
Contestualmente, per la realizzazione, in tempi brevi, della bretella di congiungimento all’arteria interrotta sarebbe appropriato affidare i lavori al genio militare. E ciò per impedire lungaggini di gare di appalto ed ingerenze… poco trasparenti. In Giappone, in occasione dell’ultimo disastro naturale, l’esercito in pochi giorni ricostruì un’autostrada. Se lì è stato possibile, perché, in urgenza, non dovrebbe esserlo anche in Sicilia?
Inoltre, attraverso lo stato di calamità, dichiarato dal governo regionale, occorre eliminare urgentemente la precarietà esistente, sulla strada alternativa madonita, di innesto tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli. Ma non possiamo, pur tuttavia, non tenere presenti i disagi di coloro che risiedono nel Sud-Est della Sicilia: mi riferisco al collegamento viario e ferroviario tra le province di Siracusa e di Ragusa con il capoluogo siciliano. È possibile intervenire sulla ferrovia Siracusa-Ragusa-Gela? Ove non trovi la possibilità di un ripristino della tratta ferroviaria Gela-Palermo, in allacciamento con la Ragusa–Gela, il proposto percorso aereo Comiso-Palermo Boccadifalco dovrebbe essere attuato con un paio di voli andata e ritorno, ad un prezzo “politico”, da low cost.
Si può fare, però, ancora di più. È possibile, secondo le normative vigenti, dichiarare “Zona franca” tutto il territorio isolano evidenziando le complesse precarietà e disagi. Tra i vantaggi che ne deriverebbero, vi sarebbe la possibilità di rimuovere il pagamento del pedaggio autostradale sulla Palermo-Messina e sulla Messina-Catania e, contestualmente, abbassare le accise sui carburanti per una loro diminuzione del prezzo alla vendita presso i distributori. Va da sé che questi due indilazionabili provvedimenti bloccherebbero l’aumento dei prodotti al dettaglio affidati alla distribuzione su gomma. Di cui già s’incominciano a subire gli effetti deleteri per il consumatore.
Passando all’altra emergenza di disastri umani, internazionale ma che primariamente investe la Sicilia, volgendo lo sguardo su quanto sta accadendo nel nostro mare, nel Mediterraneo, in cui la nostra terra rappresenta la frontiera meridionale dell’Europa subendone le pesanti conseguenze, assieme al nostro intero Paese, non posso non fare una forte proposta. L’Unione Europea e la comunità internazionale non possono continuare a “guardare dalla finestra” e cincischiare sull’immane tragedia che ha investito i diseredati dei paesi africani, che cercano una speranza di serenità fuori dai loro confini.
L’Onu e l’Ue debbono farsi carico di un risolutivo intervento adottando le misure necessarie, anche forti. Tra l’altro, quando la diplomazia non riesce a pacificare gli “animi” esagitati, l’unica strada alternativa è rappresentata dalle armi per imporre la pace. Ritengo, quindi, che occorra partire da una missione militare mirata, seppure dolorosa, a guida ONU, per distruggere il terrorismo diffuso dall’ Isis, il cui cervello malato risiede nel Califfato con a capo Abu Bakr al-Baghdadi, nelle regioni dove si assiste a nefandezze, a torture, a decapitazioni ed a varie crudeltà, le quali inducono le popolazioni a fuggire dal massacro in atto e dalla fame che ne deriva. Non è più eludibile un’altra operazione militare internazionale simile a quella irachena che abbattè la dittatura di Saddam Hussein.
Nel frattempo, è necessario adottare una misura internazionale, attraverso magari apposite leggi dei singoli stati, che vieti in maniera assoluta la vendita di armi al di fuori di ristrettissime ipotesi, comminando pesanti pene in caso di violazione del divieto. Costringere, cioè, i fabbricanti di armi a vendere esclusivamente il loro fatturato bellico agli Stati per le necessità dei rispettivi eserciti. Nello stesso tempo, sarebbe opportuno emanare l’embargo di merci ed armi nei confronti di territori e stati in cui si annida il terrorismo.
Per continuare nei provvedimenti, è indifferibile l’apertura di un corridoio legale, nei paesi africani in cui vige il sistema democratico, per un normale espatrio in altri stati di quei cittadini alla ricerca di lavoro. Intanto, il flusso migratorio clandestino si può limitare attraverso la presenza di una flotta militare internazionale nelle acque del Mediterraneo, in vicinanza delle coste africane. Eventuali barconi di migranti dovrebbero ricevere la solidale accoglienza umanitaria per un loro smistamento, attraverso un coordinamento ONU, nei diversi paesi in cui quegli sventurati aspirano ad ottenere asilo politico.
In sintesi, queste sono le proposte personali, espresse per grandi linee, che potrebbero essere valutate dai governi, italiano, europei, internazionali per un loro approfondimento.
È mia convinta asserzione che, da tutto quanto sopra indicato, alla nostra Sicilia potrà derivarne un positivo input per affrontare lo stato di emergenza attuale, relativamente ai due problemi accennati.
Per le altre urgenze siciliane – decollo economico ed occupazionale – penso ad una tavola rotonda dei partiti dell’area di sinistra attraverso la quale sarà possibile individuare, da subito, delle proposte; in primo luogo, la accennata richiesta di dichiarazione di zona franca, per poi passare ad altri progetti fattibili ed alternativi all’attuale azione del governo regionale in carica. Vado oltre: auspico che i partiti ed i movimenti incontratisi in “SottoSopra, la Sicilia di domani” prendano l’abbrivo per un unico cartello aggregativo strutturale, alternativo al governo della regione ma soprattutto riformista ed impegnato a garantire il rispetto dello Statuto Siciliano. Occorre lasciare i patriottismi ideologici e di nicchia per raccogliersi sotto l’unica bandiera del socialismo democraticamente rivoluzionario, i cui valori sono sempre attuali: oggi più di ieri.

GAETANO ZINGALES

Settantesimo della Liberazione

25 aprile, festa socialista.

Il Partito Socialista Siciliano ha aderito all’appello per il settantesimo anniversario della Liberazione dall’occupazione nazista e dal regime fascista. Il PSS parteciperà alla menifestazioni della giornata del 25 aprile a Messina, Catania e Palermo. È possibile aderire all’appello cliccando qui e scrivendo agli indirizzi di posta elettronica indicati.

 

Tipologia di adesione