Riceviamo e pubblichiamo un articolo del compagno Michelangelo Ingrassia su Giovanni Corrao, assassinato a Palermo il 3 agosto 1863, figura su cui il giudizio, nel comitato promotore del PSS come nella comunità degli storici di professione, non è ancora unanime. Ringraziamo Michelangelo per aver aperto una discussione su questa pagina di storia.
Quella di Giovanni Corrao è una figura certamente complessa del Risorgimento siciliano perché pone in risalto le contraddizioni del Risorgimento italiano. Egli fu l’ardito garibaldino che si batté per il riscatto del popolo siciliano nel 1860 e per la ripresa politica dell’iniziativa democratica e meridionalista nel 1862 e che, deluso dalla sconfitta in Sicilia e in Aspromonte, non si rassegna e continua a lottare.
È stato il poeta Giosuè Carducci a contrapporre nei suoi versi l’eroismo del Risorgimento alle viltà dell’Italia unita. Corrao è il simbolo di quell’eroismo e la vittima di quelle viltà.
Corrao è il combattente del 1848, promosso per decreto del Parlamento siciliano al grado di capitano; è il combattente del 1860 che con le sue squadre attacca il 27 maggio Palermo da Uditore, aggredendo alle spalle i borbonici e consentendo a Garibaldi di vincere l’accanita resistenza a Ponte dell’Ammiraglio; è il colonnello garibaldino che si distingue a Milazzo e che segue il duce dei Mille fino al Volturno.
Non è un aristocratico come Rosolino Pilo, non è un borghese come Casimiro Pisani, non è un intellettuale come Francesco Ferrara, non è un politico di razza come Francesco Crispi; Corrao è un operaio che proviene dal quartiere popolare del Borgo e che insegue la rivoluzione sociale e politica di Mazzini e Garibaldi convinto che la rivoluzione siciliana debba innestarsi nella rivoluzione italiana per riuscire.
Se il garibaldinismo fu, tra le ideologie politiche, un movimento d’azione, Corrao ne fu seguace ed esponente di primo piano rappresentando la componente siciliana di quel socialismo nazionale e militare teorizzato da Carlo Bianco, Giuseppe De Cristoforis, Carlo Pisacane.
Negli anni dell’esilio, tra il 1848 e il 1860, Corrao sovente parteggia contro il Fabrizi, il La Farina e tutti i liberali del nord e del sud. Nel 1859 è il cospiratore che progetta un attentato a Napoleone III convinto che soltanto con l’azione era possibile per i democratici italiani riprendere l’iniziativa rivoluzionaria popolare. Nel 1862 è Corrao ad adunare in Sicilia i volontari che seguiranno Garibaldi in Aspromonte, ed è il solo che spara addosso alle truppe di Cialdini, venute a fermare l’impresa. La marcia della rabbia contro Torino per vendicare la Sicilia: così lo storico Falzone definisce l’opera del Corrao in quel frangente.
A questo punto il “caso Corrao” si complica e diventa un problema storico.
Nella biografia romanzata scritta da Matteo Collura, Corrao è il nemico dei Gattopardi. È l’esponente di quel Partito d’Azione che in Sicilia non si arrende alla piemontesizzazione, agli stati d’assedio, allo Stato liberale accentrato, oligarchico, censitario, al fallimento della rivoluzione sociale.
Egli che aveva lottato per un’altra Sicilia, per un’altra Italia, si sente tradito e insieme ai socialisti libertari dell’estrema sinistra siciliana Friscia, Badia, Bonafede, non esita ad allearsi con gli autonomisti siciliani per cercare una via d’uscita rivoluzionaria.
Nell’anno fatale del 1863 questa pattuglia socialista e rivoluzionaria siciliana si organizza attorno a Corrao, che ha una vasta popolarità nei quartieri e nelle contrade popolari di Palermo e della Sicilia. A gennaio fondano nella chiesa di San Cristoforo l’Associazione Democratica Italiana di Palermo, che è immediatamente disciolta dal Prefetto. E quando gli studenti dell’Università di Palermo manifesteranno contro lo scioglimento, il Rettore chiuderà l’Ateneo.
Pochi mesi dopo, il 3 agosto, Giovanni Corrao è misteriosamente assassinato in un’imboscata mentre l’isola è sottoposta all’ennesimo stato d’assedio, decretato da Torino per contrastare la renitenza di leva che si manifesta come forma di resistenza siciliana allo Stato accentratore e borghese.
Per screditare Giovanni Corrao lo si accusò di mafia, ma lo storico Falzone ha documentato che Corrao “poteva avere del mafioso aspetti esteriori ma non le callide, tortuose intenzioni”.
Giuseppe Carlo Marino ha definito l’assassinio di Corrao come il primo delitto di Stato nella storia dell’Italia unita, ed è inquietante segnalare in proposito la misteriosa scomparsa dagli archivi del fascicolo riguardante il Generale palermitano.
Rosario Romeo ha scritto che l’attentato, quasi certamente predisposto dalle autorità italiane che in lui temevano il più autorevole esponente dell’estrema sinistra in Sicilia, getta una fosca luce su certi aspetti della politica d’annessione in Sicilia.
È certo che sulla drammatica fine di Corrao e delle sue speranze si allunga l’ombra del Risorgimento tradito. Tradito dal moderatismo liberale, dalle consorterie affaristiche, dalla decadenza morale, da uno Stato unitario che aveva disatteso le aspirazioni di quanti, come il Generale socialista, avevano creduto nella rivoluzione politica e sociale.
Ricordare la figura di Giovanni Corrao significa riscoprire una pagina del patriottismo siciliano e un capitolo della storia del socialismo siciliano.
MICHELANGELO INGRASSIA