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Partito Socialista Siciliano (PSS)

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Damnatio memoriae su Fantina

Il luogo dell’eccidio a Fantina

Riceviamo e pubblichiamo un altro articolo del compagno Ignazio Coppola, componente del Comitato promotore del Partito Socialista Siciliano, dedicato ad un’altra pagina poco nota della storia post-unitaria: l’eccidio di Fantina, avvenuto nell’agosto del 1862 nel piccolo borgo del comune di Fondachelli-Fantina, in provincia di Messina.

Fra le tante verità negate dalla storiografia ufficiale del risorgimento in Sicilia ossia, gli eccidi, nell’agosto del 1860, di Bronte, di Biancavilla e dei paesi del circondario etneo ad opera del generale garibaldino Nino Bixio ed ancora la rivoluzione repressa nel sangue di Alcara Li Fusi, nel maggio dello stesso anno, ad opera di un altro generale garibaldino Giovanni Interdonato e di cui troviamo traccia nel libro di Vincenzo Consolo “Il sorriso dell’ignoto marinaio” e le successive rivolte anch’esse annegate nel sangue dal generale Pietro Quintino a Castellammare del Golfo il 3 gennaio del 1862 (rivolta dei cutrara) e poi ancora quella di Palermo del settembre del 1866 detta del sette e mezzo (durò infatti 7 giorni e mezzo) in cui, in una Sicilia tenuta, di volta in volta, in perenne stato d’assedio sino alla rivolta dei fasci siciliani, furono massacrati migliaia e migliaia di palermitani dalle truppe piemontesi del generale Raffaele Cadorna, ve n’è una passata anch’essa nel dimenticatoio della storia del nostro risorgimento che va sotto il nome di eccidio di Fantina.Un eccidio che la dice tutta sui barbari e sanguinari metodi, di chiara impronta nazista, dell’esercito italo- piemontese e che ebbe luogo appunto a Fantina nell’agosto 1862 in concomitanza ai fatti di Aspromonte che, come tutti sanno, si conclusero con il ferimento di Garibaldi ad opera dei bersaglieri del generale Pallavicini che aveva avuto, dal re galantuomo Vittorio Emanuele II° l’ordine perentorio di fermare a tutti i costi, anche al prezzo di un bagno di sangue, l’avanzata dei garibaldini che si avviavano verso la città eterna al grido di “Roma o morte”. Una scarica di fucileria alle pendici dell’Aspromonte, richiamò all’ordine sabaudo i bollenti spiriti degli illusi garibaldini e ne fermò l’avanzata. Ed è da quel momento l’esercito regio apre una vera e propria caccia ai garibaldini perpetrando nei loro confronti arresti , repressioni e deportazioni. Quasi duemila volontari, per lo più ,siciliani e meridionali, vengono arrestati ed assieme a diversi militari che avevano abbandonato i loro reparti per unirsi a Garibaldi vengono deportati e rinchiusi nelle fortezze dell’antico regno sabaudo tra le quali la più triste e nota era quella di Fenestrelle nell’Alta Savoia a più di 2mila metri dall’altezza e da cui per la rigidità del clima e per il barbaro stato di detenzione era difficile uscirne vivi.Ed è in questo contesto della caccia spietata ai garibaldini dopo i fatti Aspromonte che avvenne appunto l’ignobile eccidio di Fantina ad opera del 47° reggimento di fanteria sabaudo agli ordini del maggiore Giuseppe De Villalta nei confronti di una colonna di garibaldini guidata dal palermitano Carlo Trasselli, il quale, dopo aver inutilmente cercato di raggiungere Garibaldi in Calabria , saputo l’infelice esito dell’impresa , rassegnato si accingeva a raggiungere Novara di Sicilia per consegnare le armi al sindaco di quel paese. Nella marcia di avvicinamento a Novara la colonna si disperse ed una parte di essa esausta si fermò a riposare, trovando rifugio nelle case e nella chiesetta di Fantina.un piccolo centro della provincia di Messina. E la notte tra il 2 e 3 settembre che i fuggiaschi furono circondati e sorpresi nel sonno dai piemontesi. Circondati si arresero e quando furono tutti in piedi il comandante sabaudo maggiore Giuseppe De Villalta si fece loro incontro dicendo: «Volontari se in mezzo a voi si celano dei disertori si facciano avanti. Il re li perdona e li lascerà immediatamente raggiungere i loro corpi».Illusi dalle promesse di quell’uomo senza dignità e senza alcun onore si fecero avanti in sette e immediatamente circondati e messi in disparte furono richiesti del nome e del corpo d’appartenenza da cui avevano disertato. Fu a quel punto che la Jena, calpestando il codice d’onore e ogni elementare norma d’umanità rivelò il suo ignobile volto e rivolgendosi a quei poveretti, che si erano illusi delle sue convincenti promesse, così si pronunciò: «Soldati voi siete spergiuri verso la patria e il re. In nome della legge militare vigente, voi siete condannati alla pena di morte da eseguirsi all’istante. Disertori, vi concedo dieci minuti da dedicare alla preghiera».Inutili furono le proteste di quei poveri sventurati che alla fine chiesero, prima di essere fucilati, di potere scrivere due righe come ultimo pensiero ai propri cari e soprattutto, Costante Bianchi il più giovane dei sette, appena diciottenne, che implorò sino alla fine, rivolto al plotone che stava per fucilarlo, di poter lasciare un ultimo messaggio di saluto alla amata madre «Soldati – disse per l’ultima volta il giovane – il voto dei morenti è sacro. Se avete una madre che amate anche voi, lasciate che io scriva una parola alla mia».Fu tutto inutile: Giuseppe De Villalta, vile iena assetata di sangue, fu irremovibile rispondendo così alla supplichevoli richieste dei condannati a morte: «Siete solo briganti e non meritate altro che piombo nello stomaco». Al terzo rullo di tamburo una scarica di fucileria pose fine alla vita di quelle giovani vittime. I corpi di quei sette martiri: Giovanni Balestra,Costante Bianchi, Giovanni Botteri, Giovanni Cerretti, Ulisse Grazioli, Barnaba della Momma e Giovanni Panieri, furono sepolti sotto il sagrato della chiesa di Fantina e sono ricordati da una lapide commemorativa collocata sulla facciata della chiesa. Nel settembre del 2000 infine nel luogo dell’eccidio è stato eretto un cippo con i loro nomi a perenne ricordo di quell’atto di viltà e di barbarie: Quegli atti di viltà e di barbarie che i piemontesi, all’alba dell’Unità d’Italia, perpetrarono con massacri e stragi a danno delle popolazioni meridionali nel nome del Re galantuomo il quale, per l’inaudito eccidio di Fantina, non si risparmiò di dispensare promozioni (De Villanata da maggiore fu promosso colonnello) e riconoscimenti ai disumani e crudeli protagonisti di quell’atto infame e negazione di ogni umana pietà . Dall’eccidio di Fantina riuscì a salvarsi per miracolo colui che diverrà poi un’icona dell’anarchismo e tra i fondatori del socialismo italiano Amilcare Cipriani, il quale in seguito eletto deputato nel partito socialista non occupò mai il suo seggio per non prestare giuramento al re. Cipriani disertore due volte nella spedizione dei mille prima ed in quella d’Aspromonte poi e che in quel frangente faceva parte della colonna Trasselli, assistette impotente alla barbara esecuzione dei suoi compagni dall’alto di una collina. Qualche anno più avanti Pietro Castagna un altro garibaldino sopravvissuto a quell’eccidio da testimone ricostruì, per conto del giornale di Brescia “Il fascio della democrazia”, con puntualità tutti i terribili particolari di quella drammatica giornata. E ancora più di recente infine, il giornalista Antonio Ghirelli da poco scomparso a quell’avvenimento ha dedicato nel 1986 edito da Sellerio un saggio dal titolo “L’eccidio di Fantina”. Per il resto di questo infame atto di viltà compiuto dall’esercito piemontese non vi è la minima traccia obliato nei partigiani resoconti della storiografia ufficiale e scolastica. La damnatio memoriae ha colpito ancora.

IGNAZIO COPPOLA

Bronte: un eccidio da non dimenticare

I fatti di Bronte

Riceviamo e pubblichiamo un articolo del compagno Ignazio Coppola, componente del Comitato promotore del Partito Socialista Siciliano, che ricorda i tragici fatti di Bronte, da cui sono trascorsi centocinquantatré anni.

Dal 6 al 9 agosto del 1860 esattamente 153 anni fa a Bronte Nino Bixio, su mandato di Giuseppe Garibaldi, si rendeva protagonista di un atto scellerato ed infame che la storia quella vera e non quella paludata della storiografia ufficiale e scolastica ci ha tramandato e condannato come “l’eccidio di Bronte”.
Ciò val bene per ricordare e non dimenticare su come i “liberatori” quali Nino Bixio intendevano trattare i siciliani e soprattutto, i contadini illusi dalla promesse dei decreti garibaldini sulla assegnazione delle terre, convinti che, finalmente, con l’arrivo di Garibaldi e delle camicie rosse potessero legittimamente essere garantiti i principi di libertà e di giustizia sociale In quel maledetto e torrido agosto del 1860 ai siciliani ed ai brontesi, speranzosi che per loro le cose sarebbero cambiate in meglio, mal gliene incolse. A farli ravvedere dalle loto aspettative provvide alla bisogna il paranoico generale garibaldino che certo dei siciliani non aveva gran considerazione e stima se è vero che, alla moglie Adelaide, durante l’impresa dei mille così ebbe tra l’altro testualmente a scrivere a proposito della Sicilia e dei siciliani: “Un paese che bisognerebbe distruggere e gli abitanti mandarli in Africa a farsi civili”. E con questo stato d’animo e questa predisposizione nei confronti dei siciliani che Bixio si presentò a Bronte prendendo, per tre giorni alloggio al collegio Capizzi, la mattina del 6 agosto, con due battaglioni di bersaglieri per ristabilire l’ordine che era stato turbato nei giorni precedenti dai popolani e dai contadini-vassalli della ducea di Nelson che illusi si erano ribellati rivendicando il diritto all’assegnazione delle terre ed al riscatto sociale promesso loro dai truffaldini decreti garibaldini
All’avanzata di Garibaldi in Sicilia e con la illusoria promessa di una più equa distribuzione delle terre furono molti infatti i paesi che come Bronte insorsero al grido “abbassu li cappeddi, vulimi li terri”, quali tra gli altri: Regalbuto, Polizzi Generosa, Tusa, Biancavilla, Racalmuto, Nicosia, Cesarò, Randazzo, Maletto, Petralia, Resuttano, Montemaggiore, Castelniovo, Capaci, Castiglione, Centuripe, Collesano, Mirto, Caronia, Alcara Li Fusi, Nissoria, Mistretta, Cefalù, Linguaglossa, Trecastagni e Pedara.
Le aspettative del popolo e dei contadini nei confronti dei “cappeddi” (i latifondisti ed i ricchi proprietari terrieri) furono represse in quei paesi con il piombo e nel sangue da quei garibaldini che avevano promesso loro: terre, libertà e giustizia. Quello stesso piombo che, 34 anni dopo nel 1894, l’ex garibaldino Francesco Crispi che era stato prima segretario di stato e teorico della spedizione dei Mille e successivamente dopo l’Unità divenuto presidente del Consiglio, ordinò di scaricare sui contadini siciliani che rivendicavano le terre e reprimendo così nel sangue con centinaia di vittime innocenti l’epopea dei Fasci Siciliani. A distanza di anni con pedissequa ferocia, di fatto, si riproponeva, ancora una volta, in un bagno di sangue, la logica della difesa del privilegio e della conservazione perché nell’ottica gattopardiana nulla cambiasse, prima con Garibaldi e poi con Crispi
Ma torniamo ai fatti e al grido di libertà dei contadini e dei cittadini di Bonte..Su pressione del console inglese di Catania John Goodwin, a sua volta sollecitato dai fratelli Thovez amministratori della ducea per conto della baronessa Bridport, Garibaldi, costi quel che costi, per reprimere la rivolta di quei brontesi che avevano avuto l’impudenza di ribellarsi agli inglesi suoi protettori e finanziatori dell’impresa dei Mille invia per risolvere la questione ed assolvere questo sporco lavoro, come era nelle sue attitudini ed abitudini, il suo fedele luogotenente Nino Bixio.
Appena giunto, come primo atto, il “liberatore” (degli interessi degli inglesi e non dei contadini e dei siciliani) Bixio decretò lo stato d’assedio e la consegna delle armi imponendo una tassa di guerra dichiarando il paese di Bronte colpevole di “lesa umanità” dando inizio a feroci rappresaglie senza concedere alcuna minima garanzia e guarentigia alla cittadinanza. I nazisti ottant’anni dopo prenderanno lezioni da questi metodi dei “liberatori” garibaldini. Bisognava dimostrare ai “padroni” inglesi che nessuno poteva toccare impunemente i loro interessi. E il paranoico “servo” con i suoi metodi criminali li accontentò appieno. Si passò ad una farsa di processo e tutto fu liquidato in poco tempo senza riconoscere alcun diritto alla difesa discutendo e dibattendo il tutto in appena quattro ore.
Alla fine, alle 8 di sera del 9 agosto, calpestando ogni simulacro di garanzia, era già tutto deciso con la condanna a morte di cinque cittadini che niente avevano avuto a che fare con i tumulti e le rivolte delle precedenti giornate che avevano turbato la tranquillità ed il sonno degli inglesi in quel di Bronte.
I cinque, la mattina del giorno dopo il 10 agosto, nella piazzetta della chiesa di San Vito finirono vittime innocenti dinanzi al plotone d’esecuzione. L’avvocato Nicolò Lombardo notabile del paese che, da vecchio liberale, con tanta speranza aveva atteso lo sbarco garibaldino sognando un futuro migliore per la sua terra dovette ricredersi in quell’attimo che la scarica di fucileria spense quel suo sogno e per l’avvenire il sogno di tanti siciliani. Con lui morirono Nunzio Spitaleri Nunno, Nunzio Samperi Spiridione, Nunzio Longhitano Longi, Nunzio Ciraldo Fraiunco. Quest’ultimo era lo scemo del paese che sopravvisse alla scarica di fucileria e invocando vanamente la grazia fu finito cinicamente con un colpo di pistola alla testa dall’ufficiale che aveva comandato il plotone.
Dopo la feroce esecuzione,a monito per la popolazione di Bronte, i corpi delle vittime rimasero esposti ed insepolti per parecchio tempo. Ma non era finita, a questo primo processo sommario ne seguì un altro altrettanto persecutorio e vessatorio nei confronti di coloro che avevano arrecato oltraggio ai grossi proprietari terrieri e agli inglesi della ducea. Il processo che si celebrò presso la Corte di Assise di Catania si concluse nel 1863 con 37 condanne esemplari di cui 25 ergastoli. Giustizia era stata fatta. I poveracci non avrebbero più alzata la testa.
Il 12 Agosto, dopo avere fatto affiggere precedentemente il 9 agosto a suo nome un proclama indirizzato ai comuni della provincia di Catania con il quale invitava i contadini a stare buoni e a tornare al lavoro nei campi pena ritorsioni e feroci rappresaglie, Nino Bixio ribadiva che: “gli assassini e i ladri di Bronte sono stati puniti e a chi tenta altre vie crede di farsi giustizia da sé, guai agli istigatori e ai sovvertitori dell’ordine pubblico. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole” Proclami e avvisi tendenti ad rassicurare baroni, latifondisti, proprietari terrieri e soprattutto gli inglesi che, con Garibaldi e Bixio, non c’era alcun pericolo di rivolte sociali. La rivoluzione garibaldina aveva mostrato il suo volto. Gli interessi della borghesia, dei latifondisti, degli inglesi che facevano affari in Sicilia e di quei settentrionali che in nome di Vittorio Emanuele in futuro li avrebbero fatti erano salvi e salvaguardati dalle camicie rosse.
E dire che a questi personaggi, come Nino Bixio e Giuseppe Garibaldi, i siciliani con un masochismo degno di miglior causa hanno dedicato una infinità di via strade, piazze, scuole, monumenti e quant’altro a significativa memoria che da sempre siamo affetti dalla sindrome di Stoccolma ossia quella di innamoraci dei nostri carnefici. E ora di finirla. Prendendo coscienza e consapevolezza della nostra vera storia è giunto il momento di buttare giù lapidi, e disarcionare dai monumenti questi personaggi che dipinti come falsi eroi ci hanno depredato della nostra economia, della nostra storia, della nostra cultura e della nostra identità. I tribunali della storia che per fortuna sicuramente non sono quelli dei processi sommari di Bronte alla fine certamente condanneranno per i loro crimini questi personaggi: Anticipiamo sin da ora le sentenze e buttiamoli giù dai loro piedistalli.
Per quanto riguarda infine Gerolamo Bixio detto Nino pochi sanno che alla fine la giustizia divina, per le sue malefatte, più di quella degli uomini gli presentò un conto salato facendolo morire tra atroci dolori, sofferenze e tormenti in preda alla febbre gialla ed al colera a bordo della sua nave( s’era dato ai commerci con l’Oriente))il 16 dicembre del 1873, a Banda Aceh nell’isola di Sumatra, a quel tempo colonia olandese. Il suo corpo infetto chiuso in una cassa metallica fu sepolto nell’isola di Pulo Tuan che nella lingua locale significa isola del Signore. Successivamente tre indigeni, credendo di trovare qualche tesoro, disseppellirono la cassa denudarono il cadavere e poi lo riseppellirono vicino ad un torrente. Due di loro, infettati dal colera morirono nel breve giro di 48 ore. Anche da morto Bixio era riuscito a fare delle vittime. Roba da Guinnes dei primati. I pochi resti del suo corpo ed alcune ossa, grazie al terzo indigeno sopravvissuto alla maledizione, vennero ritrovati nel giugno del 1876. Il 10 maggio del 1877 quello che rimaneva dei resti del massacratore di Bronte, veniva cremato nel consolato italiano di Singapore.. Il 29 settembre di quello stesso anno le ceneri giunsero a Genova e seppellite nel cimitero di Staglieno. L’avvocato Nicolò Lombardo e le altre vittime di Bronte, per loro buona pace si può dire che per la morte atroce del loro aguzzino e per ciò che ne conseguì, erano state vendicate alla fine dalla giustizia divina.

IGNAZIO COPPOLA

Assassinio di un generale socialista

La bandiera siciliana, con lo storico simbolo del Triscele

Riceviamo e pubblichiamo un articolo del compagno Michelangelo Ingrassia su Giovanni Corrao, assassinato a Palermo il 3 agosto 1863, figura su cui il giudizio, nel comitato promotore del PSS come nella comunità degli storici di professione, non è ancora unanime. Ringraziamo Michelangelo per aver aperto una discussione su questa pagina di storia.

Quella di Giovanni Corrao è una figura certamente complessa del Risorgimento siciliano perché pone in risalto le contraddizioni del Risorgimento italiano. Egli fu l’ardito garibaldino che si batté per il riscatto del popolo siciliano nel 1860 e per la ripresa politica dell’iniziativa democratica e meridionalista nel 1862 e che, deluso dalla sconfitta in Sicilia e in Aspromonte, non si rassegna e continua a lottare.
È stato il poeta Giosuè Carducci a contrapporre nei suoi versi l’eroismo del Risorgimento alle viltà dell’Italia unita. Corrao è il simbolo di quell’eroismo e la vittima di quelle viltà.
Corrao è il combattente del 1848, promosso per decreto del Parlamento siciliano al grado di capitano; è il combattente del 1860 che con le sue squadre attacca il 27 maggio Palermo da Uditore, aggredendo alle spalle i borbonici e consentendo a Garibaldi di vincere l’accanita resistenza a Ponte dell’Ammiraglio; è il colonnello garibaldino che si distingue a Milazzo e che segue il duce dei Mille fino al Volturno.
Non è un aristocratico come Rosolino Pilo, non è un borghese come Casimiro Pisani, non è un intellettuale come Francesco Ferrara, non è un politico di razza come Francesco Crispi; Corrao è un operaio che proviene dal quartiere popolare del Borgo e che insegue la rivoluzione sociale e politica di Mazzini e Garibaldi convinto che la rivoluzione siciliana debba innestarsi nella rivoluzione italiana per riuscire.
Se il garibaldinismo fu, tra le ideologie politiche, un movimento d’azione, Corrao ne fu seguace ed esponente di primo piano rappresentando la componente siciliana di quel socialismo nazionale e militare teorizzato da Carlo Bianco, Giuseppe De Cristoforis, Carlo Pisacane.
Negli anni dell’esilio, tra il 1848 e il 1860, Corrao sovente parteggia contro il Fabrizi, il La Farina e tutti i liberali del nord e del sud. Nel 1859 è il cospiratore che progetta un attentato a Napoleone III convinto che soltanto con l’azione era possibile per i democratici italiani riprendere l’iniziativa rivoluzionaria popolare. Nel 1862 è Corrao ad adunare in Sicilia i volontari che seguiranno Garibaldi in Aspromonte, ed è il solo che spara addosso alle truppe di Cialdini, venute a fermare l’impresa. La marcia della rabbia contro Torino per vendicare la Sicilia: così lo storico Falzone definisce l’opera del Corrao in quel frangente.
A questo punto il “caso Corrao” si complica e diventa un problema storico.
Nella biografia romanzata scritta da Matteo Collura, Corrao è il nemico dei Gattopardi. È l’esponente di quel Partito d’Azione che in Sicilia non si arrende alla piemontesizzazione, agli stati d’assedio, allo Stato liberale accentrato, oligarchico, censitario, al fallimento della rivoluzione sociale.
Egli che aveva lottato per un’altra Sicilia, per un’altra Italia, si sente tradito e insieme ai socialisti libertari dell’estrema sinistra siciliana Friscia, Badia, Bonafede, non esita ad allearsi con gli autonomisti siciliani per cercare una via d’uscita rivoluzionaria.
Nell’anno fatale del 1863 questa pattuglia socialista e rivoluzionaria siciliana si organizza attorno a Corrao, che ha una vasta popolarità nei quartieri e nelle contrade popolari di Palermo e della Sicilia. A gennaio fondano nella chiesa di San Cristoforo l’Associazione Democratica Italiana di Palermo, che è immediatamente disciolta dal Prefetto. E quando gli studenti dell’Università di Palermo manifesteranno contro lo scioglimento, il Rettore chiuderà l’Ateneo.
Pochi mesi dopo, il 3 agosto, Giovanni Corrao è misteriosamente assassinato in un’imboscata mentre l’isola è sottoposta all’ennesimo stato d’assedio, decretato da Torino per contrastare la renitenza di leva che si manifesta come forma di resistenza siciliana allo Stato accentratore e borghese.
Per screditare Giovanni Corrao lo si accusò di mafia, ma lo storico Falzone ha documentato che Corrao “poteva avere del mafioso aspetti esteriori ma non le callide, tortuose intenzioni”.
Giuseppe Carlo Marino ha definito l’assassinio di Corrao come il primo delitto di Stato nella storia dell’Italia unita, ed è inquietante segnalare in proposito la misteriosa scomparsa dagli archivi del fascicolo riguardante il Generale palermitano.
Rosario Romeo ha scritto che l’attentato, quasi certamente predisposto dalle autorità italiane che in lui temevano il più autorevole esponente dell’estrema sinistra in Sicilia, getta una fosca luce su certi aspetti della politica d’annessione in Sicilia.
È certo che sulla drammatica fine di Corrao e delle sue speranze si allunga l’ombra del Risorgimento tradito. Tradito dal moderatismo liberale, dalle consorterie affaristiche, dalla decadenza morale, da uno Stato unitario che aveva disatteso le aspirazioni di quanti, come il Generale socialista, avevano creduto nella rivoluzione politica e sociale.
Ricordare la figura di Giovanni Corrao significa riscoprire una pagina del patriottismo siciliano e un capitolo della storia del socialismo siciliano.

MICHELANGELO INGRASSIA

Ricordo del compagno Antonio Canepa

Tomba di Antonio Canepa, Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice e Francesco Ilardi

Il Partito Socialista Siciliano (PSS) ricorda oggi, 17 giugno, il 68° anniversario della morte di Antonio Canepa, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.
Canepa, leader dell’E.V.I.S., venne ucciso, infatti, il 17 Giugno 1945, in un conflitto a fuoco con i carabinieri presso Murazzu Ruttu (Randazzo) insieme ai due giovani militanti Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.
Ricordare oggi Canepa, nella diversità sociale e politica dei tempi, ha, per noi scialisti del PSdS, una duplice valenza.
Da un lato significa ricordare, insieme ai caduti di Murazzu Ruttu, le aspirazioni di quei giovani siciliani che credevano, come Canepa, in una Sicilia autodeterminata, socialista, nemica della mafia e del feudo,
e dall’altro prestare attenzione ad uno dei misteri irrisolti che hanno caratterizzato la storia della Sicilia negli ultimi 70 anni.
Come Partito Socialista dei Siciliani cogliamo, poi, l’importanza di ricordare Canepa come un socialista, un uomo di sinistra, che si impegnò, fino al sacrificio della vita, per quegli ideali in cui credeva e che già aveva testimoniato durante l’attività partigiana in Toscana.

La Federazione socialista dei Nebrodi

Giuseppe Saragat, primo socialista eletto alla Presidenza della Repubblica.

Si è costituita la Federazione dei Nebrodi del Partito Socialista Siciliano, al termine di un incontro svoltosi sabato pomeriggio presso presso il Centro culturale polivalente “Antonio Librizzi” di Capo d’Orlando. Antonio Matasso e Fabio Cannizzaro hanno ricordato i venticinque anni dalla scomparsa di Giuseppe Saragat, primo socialista eletto alla Presidenza della Repubblica e Presidente onorario dell’Internazionale Socialista dal 1976 alla morte, avvenuta l’11 giugno 1988. Sono intervenuti alcuni componenti del comitato promotore del Partito Socialista Siciliano, tra cui Ignazio Coppola, Franco Gioia, Ignazio Buttitta e Turi Lombardo. La nuova Federazione socialista dei Nebrodi parteciperà al processo costituente del PSS, il ricostituito soggetto politico del socialismo siciliano che riprende le ispirazioni dei Fasci Siciliani e di tutti quei socialisti che, nel corso di centoventi anni, hanno interpretato le ragioni della giustizia sociale come qualcosa di inscindibile dalla questione siciliana e dal tema della mancata attuazione dello Statuto di Autonomia. All’incontro hanno partecipato anche il sindaco di Capo d’Orlando Enzo Sindoni e l’ex primo cittadino Carmelo Giuseppe Antillo, già dirigente del PSDI, che hanno rivolto ai presenti calorosi messaggi di saluto.

I socialisti siciliani dicono no al M.U.O.S.

I socialisti siciliani dicono no al M.U.O.S.

Il Partito Socialista Siciliano, in sigla PSS, aderisce allo sciopero generale cittadino indetto a Niscemi, per il 31 maggio.
La nostra adesione è per dire risolutamente “No” all’installazione del sistema M.U.O.S. ed alla sua piena operatività, oltre che per rivendicare fermamente il nostro diritto come siciliani a vedere rispettate la nostra dignità nonché la salute dei niscemesi e di noi tutti.
Difendere la dignità dei siciliani e la salute dei niscemesi, siciliani tra i siciliani ed impedire che si violi la riserva naturale orientata della “Sughereta”, sono alcune tra le ragioni che ci vedono schierati da subito, come Partito Socialista Siciliano, per il “No” al M.U.O.S.
Un “No” il nostro che non è pervaso né intriso di antiamericanismo, dato che come socialisti, antitotalitari e democratici, è nostra prassi, storica e politica, affermare pacificamente ed in modo democratico le nostre idee e, cosa non secondaria, non odiare nessuno tanto meno una grande democrazia come quella statunitense.
E proprio in virtù di una assoluta mancanza di pregiudizio verso gli Stati Uniti che ci permettiamo, schiettamente e pacificamente, di criticare il loro governo se a nostro avviso sbaglia e, quindi, di invitare la marina statunitense e l’Amministrazione in carica a ritirare le oltre quaranta antenne NRTF N8 dal Territorio Siciliano.
Del resto le nostre preoccupazioni, che sono le inquietudini di tanti trovano riscontri in studi resi pubblici e presentati in svariate occasioni pubbliche. Colpiscono e fanno riflettere le posizioni assunte e dal governo regionale, che potremmo definire, incerto, sonnacchioso ed oltremodo titubante, e dal governo centrale di Roma, che sembra non sapere o non volere cogliere la situazione in tutta la sua complessa gravità, considerandoci come semplici “oggetti” nelle proprie relazioni strategiche e geopolitiche.
È nostra convinzione, come PSS, che noi siciliani dobbiamo fare sentire forte la nostra voce, affermando, senza paura, il nostro punto di vista.
Per questi motivi , dunque, aderiamo come PSS allo sciopero cittadino niscemese di questo ultimo venerdì di maggio e auspichiamo che questa manifestazione sia un pacifico, imponente segnale della volontà dei siciliani, ad ogni livello non escluso quello politico, di dire “No” al sistema M.U.O.S. e di rivendicare un ruolo da protagonisti attivi per il futuro della nostra amata Sicilia.

Rinasce il Partito Socialista Siciliano

Foto del sit-in socialista in via Alloro 97 del 21 maggio 1893

Si è svolta oggi, martedì 21 maggio, a Palermo, nell’aula “Mauro Rostagno” del Palazzo delle Aquile, l’Assemblea dei Fondatori del PARTITO SOCIALISTA SICILIANO, in sigla PSS. In quest’occasione il Partito ha ripreso la propria autonomia ed ha assunto quale simbolo un quadrato rosso entro il quale spicca in bianco la scritta ‘PS’ e l’aggiunta finale in giallo della ‘S’. Sotto la silhouette della Sicilia con dentro il sole nascente, il libro e la rosa del socialismo europeo.
L’assemblea che ha rappresentato il momento finale del lavoro del preesistente Comitato Promotore del Partito, ha deliberato di insediare, nelle more della strutturazione organizzativa un coordinamento politico, al momento, costituito da 9 persone:Ignazio Buttitta, Fabio Cannizzaro, Giuseppe Coniglione, Ignazio Coppola, Leonardo D’Angelo, Nino Gennaro, Franco Gioia, Antonio Matasso, Turi Lombardo,
Costoro gestiranno collegialmente il processo che sfocerà, entro questo 2013, nel Congresso costituente del PSS.
Poco prima di deliberare queste importanti decisioni i convenuti si erano riuniti, sempre, a Palermo, in via Alloro, davanti al civico n.97, dove appunto, in quella stessa data, del maggio 1893, si erano celebrati, e il congresso dei Fasci Siciliani dei Lavoratori e poi il congresso fondativo del Partito Socialista Siciliano.
La scelta di ricordare quell’importante avvenimento e di svolgere poi nell’aula “Rostagno” l’Assemblea dei Fondatori del PSS sono elementi che testimoniano come e quanto il Partito si richiami idealmente alla tradizione di quel socialismo siciliano, popolare, democratico e libertario.
Peculiarità dell’elaborazione del nuovo soggetto politico è quella di porre in un chiaro, evidente contesto socialista come centrale ed indifferibile la soluzione della Questione Siciliana, parimenti intesa come Questione Nazionale e Questione Sociale.
Il Partito Socialista Siciliano sin da subito avvierà una campagna di adesioni rivolta a tutti i socialisti, a tutti coloro che a Sinistra condividono quest’analisi e pone l’aggregazione a sinistra come un elemento importante, imprescindibile nella propria strategia.
A tal proposito, durante l’Assemblea, si è subito tenuto a chiarire che il Partito permetterà la doppia affiliazione, a patto, ben inteso, che le altre organizzazioni socialiste e progressiste, operino un reciproco riconoscimento dell’azione politica del PSS.
Inizia ora una fase nevralgica che dovrà portare il Partito a definire politicamente ed organizzativamente scelte e anche una sua struttura sui Territori Siciliani.

Audio del convegno del 21 maggio

Registrazione a cura di Radio Radicale del convegno organizzato il 21 maggio 2013 dalla Fondazione socialista antimafia “Carmelo Battaglia” e dal Comitato promotore del Partito Socialista Siciliano per ricordare i 120 anni del congresso dei Fasci dei lavoratori e della fondazione del Partito Socialista dei lavoratori di Sicilia. Disponibile anche sul sito della Radio, cliccando qui.

TgR Sicilia sul convegno del 21 maggio

Servizio del TgR Sicilia (Raitre) dedicato al sit-in promosso in via Alloro 97, luogo del congresso dei Fasci Siciliani e della fondazione del Partito Socialista Siciliano (21 maggio 1893), su iniziativa della Fondazione socialista antimafia “Carmelo Battaglia” e del Comitato promotore del Partito Socialista Siciliano.

 

Tipologia di adesione