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Perché c’è bisogno di socialismo | PSS – Partito Socialista Siciliano
Partito Socialista Siciliano (PSS)

Perché c’è bisogno di socialismo

Socialismo: il sole dell’avvenire.

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione del compagno Gaetano Zingales, presidente del Circolo socialista “Monti Nebrodi” e componente del coordinamento regionale del Partito Socialista Siciliano.

Il governo di centro-sinistra degli anni novanta – pur nelle difficoltà delle convergenze politiche – riusciva a rispondere alle esigenze della nazione: il tasso di disoccupazione rientrava nei limiti della sopportabilità, i servizi sociali, pur annaspando, riuscivano a svolgere un ruolo che la gente, tra i necessari mugugni, accettava e sopporta, la lira era quotata bene, l’Italia era tra le prime sette nazioni a livello mondiale, le famiglie vivevano dignitosamente.
L’annientamento dei partiti, che avevano restituito all’Italia la dignità di nazione libera e democratica, consegnò la gestione politica ed economica nelle mani di un governo di centro destra, che, nel volgere di qualche lustro, stravolse il modo di vivere delle persone comuni. Le aziende cominciarono a licenziare lavoratori, ma non si tirarono indietro neanche quelle a capitale pubblico pur di sanare i loro bilanci, l’avvento dell’euro diede la mazzata finale alle tasche della gente, i “furbi” (esercenti, commercianti, artigiani) con grande noncuranza, chiesero un euro (quasi il doppio della lira) per un prodotto o un lavoro che prima costava mille lire. La crescente disoccupazione e l’impennata del costo della vita avviarono l’Italia verso la crisi economica e sociale, tuttora in “auge”. La finanza nazionale, al seguito di quella internazionale, ritenne “doveroso” di accentuare la politica di difesa “criminogena” dei propri interessi condizionando pesantemente il costo del denaro e la politica economica del Paese. Il freno ai rinnovi contrattuali di categoria ed il blocco delle pensioni all’aggancio annuale della dinamica della scala mobile colpirono il ruolo dei sindacati confederali, i quali si sono trovati impotenti nella rivendicazione dei sacrosanti diritti dei lavoratori e degli ex lavoratori in nome degli editti della classe politica al timone, che predicava il contenimento dei salari e delle pensioni in nome della grave crisi economica e del debito pubblico. Ma nulla ha fatto, quella stessa dirigenza politica, di fronte allo scandalo delle pensioni d’oro per manager e boiardi dello Stato. I fenomeni tangentizi, di corruzione, di comportamento amorale e di allegro stile di vita da parte di alcuni personaggi delle istituzioni, conobbero il loro fertile brodo di coltura superando il livello di quelli scoperchiati dal cosiddetto periodo di “mani pulite”.
Una simile congèriedi pesante realtà e di comportamenti anomali ha condotto gli italiani alla disaffezione verso i partiti politici. Ne è una chiara prova la bassa percentuale di elettori che si recano al voto. A cui occorre aggiungere il cosiddetto voto di protesta in favore di neo-formazioni e movimenti politici.
Oggi, l’Italia è ancora in piena crisi economica e politica nonostante i decenni trascorsi in tale stato di fatto. La disoccupazione giovanile, e non, ha toccato i più elevati parametri dal dopoguerra in poi, le famiglie monoreddito non riescono a mettere insieme pane con companatico sino alla fine del mese, la povertà è entrata in molte case di italiani che prima avevano la fortuna di permettersi un dignitoso tenore di vita, i servizi socio-sanitari e quelli dell’ambiente, che realizzano la qualità della vita di ogni comunità, sono entrati nell’occhio del ciclone di ogni cittadino.
La Sicilia è tra le regioni che più pesantemente ha subito le conseguenze di una cattiva gestione della “cosa pubblica”, la quale si è abbattuta soprattutto sui giovani in cerca di lavoro. Non stiamo qui a rammentare le notizie dolorose che giornalmente la cronaca locale ci fornisce, che sono lo specchio di una pesantissima situazione di disagio sociale.
C’è un “grido di dolore” che viene dal basso e che invoca giustizia sociale, che chiede di lavorare nella propria terra, la qualcosa agevolerebbe tra l’altro la possibilità di formarsi una famiglia in età ragionevole e, soprattutto, eviterebbe il dolore di dovere emigrare, fuori dai confini della nazione siciliana, divenendo un emarginato in una regione del nord, se non in terra straniera. Non ritengo una forzatura o un termine inappropriato nel definire la Sicilia una nazione sia per la sua millenaria storia, che tale l’ha tipizzata, sia perché dotata di uno Statuto, che, se interamente applicato e rispettato, potrebbe favorire una gestione autonoma delle proprie risorse e di quelle di provenienza statale ed europea. Ma così, purtroppo, non è.
Ritengo, quindi, una felice intuizione quella di ridar vita alla formazione del Partito Socialista Siciliano, che, nelle sue finalità, vuole sposare i valori del socialismo – quelli appunto della giustizia sociale, della solidarietà, del lavoro, dell’uguaglianza – a quegli altri insiti nei movimenti e partiti indipendentistici per la piena applicazione dello Statuto Siciliano. Fare cioè gli interessi dei siciliani magari scontrandosi con il potere centrale. Un compito arduo senz’altro che, a tratti, collide con il coinvolgimento di coloro che coltivano un proprio orticello sognando di gestire una qualche forma di potere. Ma occorre convincersi che è primaria un’azione comune in difesa del bistrattato popolo siciliano. Ogni orgoglio di bandiera deve incontrarsi con i valori del socialismo calati nella terra di Sicilia.
Il progetto del Partito Socialista Siciliano, che uscirà dal futuro Congresso Regionale, dovrà comprendere – a mio modesto parere – l’incontro con le forze autenticamente autonomistiche e con le varie anime locali, nelle loro multiformi declinazioni, che si richiamano all’ideologia socialista. Ritengo, pertanto, che sia opportuno, a tempo debito, promuovere una convention dei soggetti politici summenzionati, dalla quale possa uscire una volontà unitaria di lottare per la Sicilia ed i siciliani con l’adozione di una piattaforma programmatica da realizzare nel breve e medio tempo. Non vanno esclusi, però, il dialogo e la convergenza su temi specifici attinenti agli interessi dell’isola con quei partiti politici disponibili a recepire le istanze autonomistiche e delle rivendicazioni socio-economiche della neo formazione partitica siciliana.
Mi piace concludere questa nota riportando il passaggio contenuto in una recensione di Teresa d’Aniello al saggio, “Diversamente ricchi”, del giornalista economico Carlo Patrignani, riferito al pensiero di un grande socialista siciliano: Riccardo Lombardi. Il quale descriveva una società laica dal volto umano con al centro la persona, la vita e il suo benessere, »una società fondata sul rapporto interumano e non sulla dimensione economica, rispetto al sistema capitalistico volto alla produzione e consumo di beni a forte profitto. Un modello che mirasse alla produzione di beni durevoli e al lavoro per tutti, alla piena occupazione, costruendo un sistema produttivo diverso in cui il lavoro venisse ripartito equamente fra tutta la popolazione. Una nuova concezione di progresso e di crescita».
È quello di cui hanno necessità la Sicilia ed i siciliani.
Per tutto quanto sopra scritto, si sente l’esigenza, da più parti invocata, di tornare ai principi del Socialismo Internazionale, libertario, autenticamente democratico, riformista e che persegue l’eguaglianza nella società dei poveri, dei meno poveri e dei ricchi. Principi, a volte razzolati dal maggiore partito italiano della sinistra, il PD, ma non praticati!

GAETANO ZINGALES


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